Il problema dell’ateismo

Le cause dell’ateismo

Gianpaolo Barra

[Le note si trovano alla fine di ogni testo]

Facendo seguito all’articolo precedente, in cui abbiamo cercato di definire l’ateismo nei suoi vari aspetti, cerchiamo ora di esaminare quali sono le cause di questo fenomeno.

Lo studioso Battista Mondin, nel suo magistrale volume Dio chi è? [1], elenca alcuni tra i motivi per i quali l’uomo sceglie la via dell’ateismo. Il cattolico li deve conoscere a fondo, per dotarsi degli strumenti necessari alla battaglia contro l’ateismo e per la conversione di chi non crede. Alcuni scelgono l’ateismo perché non credono possibile conciliare l’esistenza di un Dio infinitamente buono con la presenza del male, soprattutto quello sofferto dagli innocenti, nel mondo. Il cattolico sa che il male resta sostanzialmente un mistero per l’uomo, anche se il credente riceve dalla Fede risposte chiarificatrici (dopo la Croce viene la risurrezione; molto del male esistente è frutto dei peccati; vi è l’opera del demonio, etc.) e della sana filosofia risposte parzialmente soddisfacenti. Ma sa distinguere il male che è mistero (per esempio la sofferenza degli innocenti) dal male che è provocato dalla cattiveria umana (per esempio le guerre, la fame, la povertà in genere e molte delle sofferenze sopportate da innocenti), male - quest’ultimo - che troppo comodamente viene attribuito all’indifferenza di Dio per le sorti dell’uomo.

Altri scelgono l’ateismo perché non sanno conciliare l’esistenza di Dio con la libertà dell’uomo. Se Dio esiste - essi affermano - l’uomo non è libero, e dunque preferiscono eliminare Dio. A costoro si risponde illustrando che cosa sia la vera libertà e mostrando che essa è dono di quel Dio che intendono negare. A questo scopo il cattolico potrà servirsi dell’Enciclica Veritatis splendor, di Giovanni Paolo II, che offre abbondanza di argomenti.

Altri invocano a sostegno del loro ateismo il "cattivo esempio" dei cattolici e della Chiesa. In questo caso, i cattolici, specialmente i militanti che non rifuggono la battaglia culturale per l’affermazione della verità, dopo un serio esame di coscienza e decisi propositi di non peccare più, abbiano il coraggio di smascherare le falsità storiche che vengono promosse dalla cultura laicista dei tempi nostri e non temano di chiedere conto a chi li attacca delle loro opere. E’ quanto suggerisce di fare un agnostico onesto, Leo Moulin. Ecco le sue parole, che andrebbero imparate a memoria dai cattolici:

"Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza, a instillargli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere dalla Riforma fino ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi tutti i mali del mondo. Vi hanno paralizzati nell’autocritica masochista, per neutralizzare le critiche di ciò che ha preso il vostro posto. Femministe, omosessuali, terzomondisti, esponenti di tutte le minoranze, contestatori e scontenti di ogni risma, scienziati, umanisti, filosofi, ecologisti, animalisti, moralisti laici: da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c’è problema, o errore, o sofferenza della storia che non vi siano addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c’è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di Cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedete a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è avvenuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?" [2].

Certi giungono all’ateismo perché convinti che la scienza ed il progresso tecnologico abbiano finalmente eliminato le superstizioni religiose. Grazie alle conquiste della scienza, l’uomo non teme più la natura, non la divinizza come accadeva in epoche passate, ma ne è diventato padrone. L’uomo avrebbe così scoperto che nella natura non vi è alcuna traccia di Dio ma solo leggi che la governano e che sono totalmente comprensibili alla ragione umana.

Il cattolico risponde invitando tutti i sostenitori di queste tesi ormai obsolete ad aggiornarsi. Da un lato, la cronaca ci informa che proprio nei Paesi a maggior sviluppo tecnologico e scientifico si registra oggi un esplodere di nuove religioni, segno che il bisogno di Dio è un dato insito nella natura umana, anche nell’uomo della civiltà tecnologica. D’altro lato, proprio la scienza moderna, mentre continua la sua indagine sulla natura e arricchisce il suo bagaglio di informazioni, scopre in essa un ordine ed un finalismo che non si riesce a spiegare con le sole conoscenze scientifiche e che rimandano a Dio come loro autore (a questo argomento ho dedicato un capitolo del mio volume Perché credere. Spunti di apologetica [3].

Altri giungono all’ateismo grazie al loro benessere materiale che li induce a dimenticarsi di Dio e a preoccuparsi solo dei propri interessi. Dal punto di vista culturale, questo ateismo non merita alcuna stima. A tutti costoro il cattolico saprà spiegare le ragioni della Fede.

Altri, infine, scelgono la via dell’ateismo perché consapevolmente o inconsapevolmente intendono fuggire dalle responsabilità che derivano dall’ammettere l’esistenza di Dio. Questo è un atteggiamento di viltà, che si vince praticando la virtù e superando le proprie paure. Anche a questi, il cattolico dovrà mostrare le ragioni della Fede, attraverso una necessaria opera di evangelizzazione.

* "Una voce grida…!" n. 7.

 

NOTE

  1. Battista Mondin, Dio chi è? , Ed. Massimo, Milano 1990.
  2. Vittorio Messori, Pensare la storia, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1992, pp. 23-24.
  3. Cfr. Gianpaolo Barra, Perché credere. Spunti di apologetica, Centro Grafico Stampa, Seriate (Bergamo) 1997, pp. 47-52.

 

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