La religiosità del post-moderno

PierLuigi Zoccatelli

Alla fine viene da chiedersi se il post-moderno cui tutti ci sentiamo ormai costretti a fare riferimento non sia, in definitiva, altro che la rivincita del pre-moderno sulla modernità. Abbiamo detto una "rivincita", beninteso, non un "ritorno". Ovvero, l’ingresso in un periodo di nuove sfide certo attuali, secondo l’etimologia di "moderno". E il nostro tempo, straordinario e particolarissimo "time of troubles", per dirla con Arnold Toynbee; meglio, "un mondo in frantumi", come non esiterebbe a ripetere Aleksandr Solzenicyn, si viene caratterizzando per una serie di sfumature che sarebbe davvero utile cogliere una ad una. Il mondo della religione non fa eccezione a questa problematica.

Già negli anni 1970 l’antropologo Anthony Wallace sintetizzava a modo suo il destino della religiosità, descrivendone il percorso evolutivo come un processo di estinzione. Erano d’altronde gli anni del trionfo delle tesi sulla secolarizzazione, l’albeggiare di un mondo in cui il fatto religioso avrebbe perso sostanzialmente capacità di influenza socio-culturale nelle società evolute e industrializzate. Chi non ricorda, sul punto, le tesi del teologo battista americano Harvey Gallagher Cox e della sua opera La città secolare (1965), in cui sosteneva che il processo di secolarizzazione e la progressiva diminuzione di interesse per la religione erano ormai un dato evidente, di cui non ci si poteva ostinare a non tenere conto?

Oggi sappiamo che si era trattato di "profezie" destinate alla sconfitta, come lo stesso Cox ha dovuto ammettere trent’anni dopo, in occasione della pubblicazione della sua nuova indagine Fire from Heaven, in cui ad essere esaminata non è l’estinzione della religione, bensì la sua inattesa almeno da parte di certi settori delle analisi sociali rinascita. In esso, per accennare brevemente alla tesi di fondo (un approfondimento sostanziale è in Massimo Introvigne, Il sacro postmoderno, Gribaudi, Milano 1996), si prende in esame l’esplosione del pentecostalismo protestante, un fenomeno che secondo stime attendibili del 1997 raccoglierebbe circa quattrocento milioni di fedeli nel mondo, contro i trecento milioni di protestanti non pentecostali. L’esempio vale quello che vale dirà qualcuno, forse portato a credere che il fenomeno pentecostale riguardi solo gli Stati Uniti d’America, eppure il fatto è che nel suolo italiano il pentecostalismo raduna circa trecentomila fedeli, una cifra di certo maggiore al "nuovo movimento religioso" più diffuso in Italia, i Testimoni di Geova.

Ciò a cui assistiamo, quindi, è un fenomeno di risveglio di interesse per il sacro e il religioso, un fatto di cui non va peraltro contestata l’ambiguità, ancor più esemplificato dalla nascita di un’intera galassia. Le cifre parlano di circa ventimila nuovi movimenti religiosi e di un’utenza che supera a livello planetario il mezzo miliardo di aderenti che gli specialisti non esitano a definire "nuova religiosità". Non è questa la sede per descriverne, seppur sommariamente, le origini storiche e le caratteristiche sociologiche. Lo spunto vale però per affermare con ottimo livello di approssimazione che oggi non è la religione, bensì la secolarizzazione, certo non il secolarismo che rischia di estinguersi. Con buona pace di Wallace.

Chi ricorda il Max Weber della "lettera" e non della vulgata, sa che la celebre tesi a proposito del "disincanto del mondo" prodotto dalla razionalità, dallo sviluppo della scienza e della tecnica non era la prefigurazione di una società atea; tanto più oggi che gli atei dichiarati sono, per esempio in Italia, non più del 5%, a fronte del 32% di cattolici, dell’1,5% di appartenenti a nuovi movimenti religiosi e di oltre il 60% di credenti "a modo mio", ma piuttosto di una società politeista, con analogia al "politeismo dei valori". E’ questo il "reincanto del mondo" a cui certo stiamo assistendo, questo l’ingresso in un periodo di nuove sfide cui accennavamo in apertura.

Nel frattempo, il rapporto fra religione e secolarizzazione pure in una società secolarizzata che a suo modo ha favorito l’emergere della nuova religiosità, e non di rado nella sua modalità magica, come il modello etno-antropologico della "decomposizione del religioso" cerca di dimostrare; o come, per converso, le trascrizioni individualistiche del network "New Age" in "Next Age" possono anticipare sembra indicare uno scenario di rivincita della prima sulla seconda. Del tutto "moderno", ovvero attuale.

 

 

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