Il credente di fronte alle “scienze” New Age: un approccio epistemologico

Marco Cantamessa

[Le note si trovano alla fine del testo]

Sommario

 

Nel trattare il fenomeno della New Age e delle molte discipline parascientifiche che ne fanno parte, gli autori cattolici partono in genere o da un punto di vista teologico, evidenziando i molti ed importanti elementi tipici di questo movimento che sono in contraddizione con la fede cristiana, oppure da un punto di vista scientifico, mettendo in luce i molti casi in cui tali discipline mostrano tutta la loro debolezza. L’articolo adotta il secondo di questi punti di vista, impostando però l’esame delle “scienze” della New Age non sul piano di singoli casi ed evidenze, ma su quello epistemologico. In particolare, basandosi sulle principali teorie contemporanee della filosofia della scienza, le “para-scienze” sono messe in discussione a causa del loro metodo e della loro storia. Infine, pur ammettendo per esse un possibile fondamento scientifico, si mette in luce come il credente possa a buon diritto mantenere verso di esse un atteggiamento cauto e prudente.

 

 

1. Introduzione

 

La società occidentale è oggigiorno sottoposta ad un autentico bombardamento da parte di molte discipline parascientifiche vecchie e nuove, che ultimamente appaiono legate all’ampio e sfuggente movimento della New Age, e per le quali è sovente rivendicata una patente di scientificità. Il fenomeno della New Age è stato più volte discusso da autori cattolici e laici, che ne hanno messo in risalto ora la rilevanza e la velocità di diffusione in una società quale la nostra, secolarizzata ed alla ricerca di valori spirituali (Introvigne M., 1994), ora le gravi incompatibilità con la fede cristiana (Introvigne M., 1995; Blondet M., 1996),  ora i pericoli di natura spirituale e psicologica connessi alle sue pratiche (“Una voce grida…!”,1995-99; Aldunate C.,1994) e, infine, l’inconsistenza delle relative basi scientifiche (Federspil e Scandellari, 1993). Soffermandosi in particolare su quest’ultimo tema, gli autori in genere discutono le evidenze che, in singoli casi, portano a smentire la validità scientifica di quanto affermato dai cultori di tali discipline. Nasce così un’interminabile catena di dibattiti tra le due posizioni, nella quale i contenuti tecnici ed il linguaggio specialistico portano ad escludere e scoraggiare chi, pur non essendo uno specialista del campo, desidera in ogni modo comprendere quanto sta avvenendo per disporre di validi criteri di discernimento. Proprio la necessità di aiutare un pubblico il più vasto possibile ad avere dei metri di valutazione seri e ben fondati suggerisce di portare la discussione sul piano epistemologico, analizzando cioè le para-scienze non tanto nei loro contenuti puntuali ma, più in generale, dal punto di vista dell’approccio cognitivo, della prassi e del metodo che in esse sono utilizzati.

Questo obiettivo porta a dover discutere le relazioni che intercorrono tra la scienza, le discipline parascientifiche e la fede. In particolare, ci si trova a dover parlare della prima proprio a causa di quella “scientificità” che viene molto sovente invocata dai cultori delle discipline New Age. Il concetto di “scientificità” è una delle parole chiave della società nella quale viviamo: una società che vive in un mondo largamente artificiale, nel quale è pervasiva la presenza di oggetti, procedure e sistemi progettati e costruiti dall’uomo grazie alle conoscenze generate in quel mondo affascinante, ma sovente poco conosciuto, chiamato “scienza”. Al tema della scienza è ovvio, quindi, che si dia oggi grande importanza, sia che se ne vogliano magnificarne i frutti, sia che se ne vogliano mettere in evidenza i limiti ed i pericoli. Il termine “scientifico” è divenuto, nel linguaggio comune, sinonimo di “vero”, “credibile”,intellettualmente accettabile”. Di un’affermazione o di una teoria “scientificamente dimostrata” si pensa quindi che, pur essendo possibile metterne in dubbio l’utilità sociale o l’accettabilità etica, non sia in ogni caso lecito metterne in dubbio la veridicità. A riprova di questo luogo comune, basta osservare come sovente, nella comunicazione pubblicitaria, sia fatto un uso capzioso del termine “scientifico” (le creme sono sempre “dermatologicamente testate” e l’efficacia dei dentifrici è “provata scientificamente”).

La posizione del cristiano in questo campo è assai difficile, a causa del peso intellettuale che la burrascosa storia delle relazioni tra scienza e fede pone sulla mentalità comune. Sono ben note, ad esempio, le vicende di Galileo e di Darwin, vicende generalmente lette con un obiettivo deformante che le rende dei casi simbolici, gravandole così di un peso ed una rilevanza ben superiore alla loro portata intrinseca. L’idea dominante è che la Chiesa, che dalla Scolastica in poi si considerava maestra e depositaria della Verità non solo nel campo metafisico ma anche in quello fisico, nello scontrarsi con la Scienza si sia vista sottrarre questo monopolio che deteneva in modo abusivo, dovendosi quindi accontentare di operare sul terreno della metafisica. Sempre nel pensiero comune, questo scontro di potere si sarebbe col tempo risolto e stemperato con l’imporsi di un modello generalmente accettato, se si eccettuano alcuni irriducibili estremisti, fondamentalisti da un lato e materialisti dall’altro. Secondo tale modello la Fede e la Scienza sarebbero le guide che conducono l’umanità verso l’unica Verità, la prima illuminandone gli aspetti metafisici e la seconda quelli fisici, agendo così in modo perfettamente complementare. Come esempio di questo modello, nella Dichiarazione Conciliare Gravissimum Educationis sull’educazione cristiana, si afferma al n.10 come la ricerca scientifica debba essere promossa nelle università cattoliche “....in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e … si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrano nell’unica verità (1), seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d’Aquino”.

L’attività scientifica diventa così non solo lecita ma anche meritoria, in quanto porta l’uomo ad essere quel “custode dell’Eden” di cui parla il libro del Genesi (2) e, facendo scoprire le meraviglie del Creato, diventa una via per magnificare la grandezza di Dio (3). Vale la pena di osservare come questo modello, benché rispettoso delle realtà trascendenti e del compito dato alla Fede di scoprirle, ha una visione della scienza di stampo positivistico, in quanto parte dall’assunzione che la Scienza sia in grado di rivelare, con il progresso delle sue teorie, l’unica verità fisica del Creato. Questa posizione sarà ripresa più tardi, nell’ultima sezione di questo articolo, mettendola a confronto con le recenti teorie proposte dalla filosofia della scienza.

Con la nascita ed il diffondersi delle discipline parascientifiche della New Age il credente si trova davanti ad un problema: innanzitutto, se valga la pena occuparsene o se non sia il caso di lasciare questo problema agli esperti, scienziati o teologi. In secondo luogo, se credere o non credere a quanto affermato da queste discipline; infine, se diventare di esse un attivo apostolo o un convinto detrattore. La soluzione al terzo problema discende in realtà dai primi due: se si conviene che il fenomeno della New Age sia trascurabile, l’atteggiamento da assumere è comunque di tipo passivo. Sia che si decida di credere alle discipline parascientifiche, sia che si decida di non crederci, la poca importanza del fenomeno rende inutile sia il favorirle sia il combatterle. Ma se, al contrario, si conviene che il fenomeno della New Age sia importante per il credente, allora diventa necessario assumere un ruolo attivo: l’accettazione di queste teorie deve condurre ad adoperarsi attivamente per diffonderle, mentre la non accettazione non può che condurre ad osteggiarle apertamente.

Al primo di questi quesiti (per il credente “non specialista” vale la pena occuparsi del fenomeno della New Age?) non si può che dare una risposta positiva. La New Age, infatti, è un movimento che per vari aspetti giunge a riguardare la vita di ogni cristiano: sul piano spirituale la commistione tra le pratiche spirituali da essa proposte e la vita di pietà delle comunità cristiane ha raggiunto dei livelli di diffusione preoccupanti. Questo fa sì che lo sviluppo di un maturo senso critico e di discernimento tra i laici e tra i presbìteri sia una necessità particolarmente urgente, se si vuole preservare e custodire l’autenticità della fede cristiana. Rimanendo invece sull’aspetto scientifico, che è il tema di questo articolo, l’opportunità di occuparsi della New Age deriva dalla crescente diffusione nella nostra società delle pratiche di medicina alternativa, tecniche queste che, oltre ad essere di dubbia efficacia (e quindi pericolose, se accompagnate   dall’abbandono delle terapie mediche convenzionali), sono inoltre strettamente mischiate con la deviante spiritualità New Age. L’idea di utilizzare le pratiche terapeutiche della New Age senza farsi contaminare dalla relativa spiritualità rappresenta, oltre che una posizione ambigua, una pia illusione, a causa dell’inscindibile rapporto tra i due aspetti, terapeutico e spirituale. Riguardo all’aspetto spirituale la Chiesa sta prendendo posizione, seppur lentamente, mentre poco o nulla è fatto per quello delle medicine alternative. Queste, oltretutto, godono di un immeritato seguito e del più o meno esplicito incoraggiamento proprio negli ambienti ecclesiali, sia ad opera dei laici, sia dei presbìteri. Se da un lato il Magistero, non essendo chiamato ad essere maestro in tema di scienze naturali, si deve limitare ad indicare le deviazioni in tema di fede implicate dalle medicine alternative, è d’altro canto urgente che nel popolo di Dio maturi una visione matura e corretta di che cos’è la scienza e di quale sia il rapporto che le discipline parascientifiche della New Age hanno con essa. Questo articolo nasce appunto dal desiderio di fornire un modesto contributo in tale senso, suggerendo nelle successive due sezioni una risposta al secondo quesito posto in precedenza (si può credere alle discipline della New Age sul piano scientifico?). L’ultima sezione discuterà infine l’atteggiamento del credente, provando ad ipotizzare l’eventualità che a queste discipline possa in qualche modo essere riconosciuto un fondamento scientifico.

 

 

2. Le discipline New Age hanno basi scientifiche?

 

Come si è accennato nell’introduzione, la discussione sulle basi scientifiche delle discipline New Age sarà qui concentrata su questioni di metodo, lasciando quindi la discussione su singoli argomenti all’attività di numerosi gruppi di studio aventi questo scopo (4) ed alla letteratura da loro pubblicata. Leggendo la letteratura sui fenomeni paranormali, più o meno strettamente legata alla New Age, balza subito agli occhi la frequente tendenza, tipica di questo movimento, a fondere in un tutt’uno risultati delle scienze naturali, sperimentazioni di carattere psicologico (tipicamente sugli stati alterati di coscienza), e visioni metafisiche di derivazione orientale. Questo stile è sintomatico del metodo seguito dai cultori delle discipline parascientifiche.

Ora, nel campo della scienza la valutazione di una teoria non può essere separata dalle questioni relative al metodo che ha condotto a formularla: da qui l’importanza che il dibattito sul concetto di metodo ha rivestito sin dai tempi della Grecia antica (5). In parole semplici, ogni progresso scientifico può essere visto come l’esito di un processo cognitivo attraverso il quale una o più persone, partendo da una base iniziale (la conoscenza scientifica preesistente, insieme con gli obiettivi ed i punti di vista specifici della loro disciplina di appartenenza), applica un metodo e perviene a dei risultati. I risultati scientifici, quindi, a meno di essere totalmente arbitrari, saranno riconducibili alle persone che li hanno prodotti (in particolare a fattori quali la loro competenza ed onestà), al contesto culturale ed all’insieme di conoscenze precedenti nel quale esse si muovono (l’osservazione di uno stesso fenomeno da parte di uno psicologo e di un neurologo potrà facilmente portare a conclusioni diverse) ed al metodo da loro utilizzato.

Nella filosofia della scienza è tuttora vivo il dibattito sul metodo: il classico “metodo sperimentale” comunemente insegnato sui banchi di scuola, che consiste nella formulazione di ipotesi e nella loro verifica tramite la conduzione di appositi esperimenti, è stato fortemente criticato sin dall’inizio di questo secolo. Alcuni autori, Paul Feyerabend è il più noto tra essi, contestano addirittura la possibilità e l’opportunità che sia definito ed imposto un metodo scientifico, vedendo in questo un ostacolo all’evoluzione della scienza stessa (Feyerabend, 1975). Anche questa posizione estrema, che manifesta la convinzione che la scienza non debba essere irrigidita in un unico metodo, non implica però che un qualsiasi sforzo o risultato possa essere definito di carattere scientifico. Quello che per lo meno si può richiedere è che i suoi proponenti esplicitino il metodo da loro seguito per pervenire ad esso, così che il metodo, i risultati e gli altri fattori che, come si è visto, li possono influenzare, possano essere discussi nell’ambito della comunità scientifica. Questo per generare quel processo di verifica e confutazione comunitaria che distingue la scienza dalla libera ed incontrollata speculazione. In particolare, se un requisito minimo può essere richiesto al metodo, oltre ovviamente al fatto che sia reso esplicito, è la sua oggettività ed indipendenza dagli specifici risultati ottenuti, così da scongiurare il pericolo di generare affermazioni fondate su argomenti circolari o tautologici (questo ad esempio avverrebbe se, ipotizzando l’esistenza di una forza universale tantrica che muove le foglie degli alberi, si considerasse quale conferma di questa teoria il fatto di aver visto muoversi una foglia). Lo stesso “estremista” Feyerabend, pur sostenendo la massima libertà metodologica, non giunge però ad accantonare il buon senso e la serietà nel valutare le teorie scientifiche (6).

Su queste basi, se si leggono i tanti e peraltro abbastanza simili contributi presenti nella letteratura delle discipline New Age, è difficile che non sorgano dei dubbi relativi al metodo seguito dagli autori o, meglio ancora, alla quasi totale assenza di metodo. La stragrande maggioranza degli articoli proposti, infatti, è costituita da una presentazione in ordine sparso di concetti derivati da diversi campi della scienza e della metafisica e dalla proposta di arditi collegamenti tra essi. Questi concetti non sono quasi mai organizzati in un modo sistematico e, ancor peggio, sono presentati al lettore astraendoli dal contesto scientifico nel quale essi sono stati sviluppati. Ad esempio, un conto è introdurre i noti paradossi temporali della teoria della relatività presentandoli quali fenomeni osservabili nella situazione-limite del moto alla velocità della luce; ben altro coraggio ci vuole a concludere che la condizione di atemporalità è un’esperienza facilmente sperimentabile dall’uomo. I collegamenti proposti tra queste “briciole di sapere” sono per la maggior parte arbitrari. Nei casi più clamorosi essi sono basati su una semplice assonanza verbale: ad esempio, si parla di “luce” come fenomeno fisico e la si associa, utilizzandone il significato di “illuminazione”, ad un’esperienza spirituale o, peggio ancora, ad esperienze di carattere psichico quali quelle di pre-morte. Altre volte il passaggio è totalmente infondato e basato sul gergo tipico della New Age: ad esempio, la frequentissima, suggestiva, ma purtroppo inspiegata equivalenza tra “energia” e “spirito”. Sono invece molto rare le volte nelle quali le affinità tra concetti proposte dagli autori si basano su argomenti almeno parzialmente convincenti. Infine, le teorie delle discipline parascientifiche sono generalmente presentate in modo assai confuso e disorganizzato e, giocando sull’ambiguità che deriva dal linguaggio metafisico, sono strutturate in modo da non essere verificabili in modo sistematico (7).

I promotori di queste discipline sovente dichiarano di non voler nemmeno affrontare l’argomento del metodo, utilizzando comunemente una giustificazione che grossomodo afferma: “I risultati trascendono il metodo”. Come esempio, i cultori del paranormale descrivono frequentemente esperimenti tesi a confermare l’esistenza di fenomeni psichici, ma poi derivano le teorie che dovrebbero spiegarli da assiomi di carattere metafisico, anziché dalla sperimentazione da essi stessi compiuta. Questo ovviamente getta molte ombre sulla stessa validità di questi esperimenti e sui protocolli seguiti nel gestirli; è peraltro ben noto che équipe composte da scienziati ed illusionisti abbiano più volte dimostrato come dietro ai principali esperimenti di parapsicologia si celi una notevole approssimazione, se non una chiara malafede.

Proprio a causa dell’assenza di un metodo dichiarato, si è ancora lontani dal poter riconoscere alla letteratura New Age un sufficiente grado di rigore scientifico. Leggendo gli articoli in esame, vengono in mente le poco serie relazioni che frequentemente sono presentate ai congressi accademici estivi, il cui contenuto è un velleitario insieme di vecchi risultati e di proposte per possibili future direzioni di ricerca, senza che però si giunga mai ad alcun risultato utile e degno di nota (salvo quello di far trascorrere al relatore una bella vacanza). Tra gli accademici, gli spiriti benevoli tendono ad accettare questi lavori limitandosi a considerarli quali “intuizioni preliminari”, ma a patto che ad essi segua poi un serio lavoro di ricerca e verifica. Pertanto, è forse possibile applicare lo stesso atteggiamento anche alla letteratura New Age: un’accoglienza scettica e curiosa allo stesso tempo, nell’attesa che da tutto questo polverone possa eventualmente scaturire un qualcosa di più fondato.

 

 

3. “La Scienza ufficiale ci esclude”

 

Un’affermazione sovente fatta dai cultori delle discipline parascientifiche è quella che da il titolo a questa sezione. Cosa significhi “esclusione” in questo contesto è assai chiaro: la cosiddetta “scienza ufficiale”, forte e allo stesso tempo ingessata nella sua prassi, nell’insieme delle sue certezze, delle sue rendite di posizione, dei suoi interessi di potere accademici ed economici, non è in né grado, né disposta a discutere con persone che le muovono concorrenza a partire da posizioni diverse. Non è in grado, a causa dell’inerzia delle sue abitudini, e nemmeno è disposta, in quanto timorosa di dover cedere qualcosa dell’immenso potere e prestigio di cui gode. L’affermazione appare indubbiamente di una certa gravità e merita, in effetti, che sia discussa a parte seriamente (8).

Innanzi tutto, è da chiarire se questa presunta esclusione sia da considerarsi relativa a specifiche teorie e discipline oppure in un senso più ampio, relativamente al metodo scientifico in generale (di questo si discuterà più avanti). L’esclusione “specifica” può essere, ad esempio, quella sperimentata dal cultore di medicine alternative le cui teorie sull’influenza delle fasi lunari sugli infarti non sono accettate dalla comunità scientifica che si occupa di cardiologia. Come si deve interpretare questa situazione? Il discorso sugli interessi economici non regge se non in parte: la “scienza ufficiale”, è vero, consiglia ed influenza le multinazionali della farmaceutica nella scelta dei prodotti da studiare e commercializzare. Ma queste aziende, avendo lo scopo principale di ottenere dei profitti, certo non esiterebbero a sposare gli approcci “alternativi” per sfruttarli commercialmente, se solo potessero avere una minima prova della loro efficacia. Per il momento, invece lo sfruttamento economico di questi approcci sta solo arricchendo i cultori della New Age, a spese delle persone disposte a credere non solo ai loro ritrovati, ma anche all’insieme di credenze spirituali che li accompagnano.

Più fondata, invece, potrebbe essere l’affermazione che la scienza ufficiale non è disposta a mettere in discussione le proprie convinzioni e le proprie teorie per altri motivi, che vanno dall’inerzia all’orgoglio dei singoli individui. Se così fosse, non sarebbe certamente la prima volta che, nella storia della scienza, un nuovo sistema teorico viene a contrastare quello esistente, generando uno scontro aspro, di impossibile mediazione a causa dell’ampiezza delle divergenze teoriche di fondo che separano i due, e che sovente trascende su basi personali. Anzi, si sa che i maggiori progressi della scienza sono avvenuti proprio in occasione di questo tipo di scontri: l’astronomia copernicana che soppianta quella tolemaica, la chimica che, con Lavoisier, arriva ad abbandonare il concetto di “flogisto”, la teoria della relatività che supera la meccanica newtoniana.

Il filosofo e storico della scienza Thomas Kuhn ha diffusamente studiato queste rivoluzioni scientifiche, nelle quali un paradigma preesistente è costretto a cedere il passo al suo successore (9) (Kuhn 1962). Vale dunque la pena provare ad analizzare, utilizzando i concetti proposti da Kuhn, lo scontro in atto tra le discipline New Age e la scienza, per vedere se in esso si scorgono dei sintomi che potrebbero far pensare, in effetti, ad uno scontro tra paradigmi scientifici, o se non si tratta di qualcosa di diverso (10).

Kuhn osserva come la “scienza normale” sia sempre esercitata all’interno di quel sistema condiviso di conoscenze, teorie e metodi da lui chiamato paradigma. Il paradigma costituisce uno strumento importante per lo scienziato in quanto, definendo la base di partenza e la direzione del suo operato, lo esenta dalla necessità di doverle continuamente individuare e rimettere in discussione e gli consente di concentrare l’attività di ricerca su una frontiera estremamente avanzata e circoscritta. La scienza normale opera, nelle parole di Kuhn, per “risolvere gli enigmi” (puzzle-solving) posti dalla natura, sfruttando le risorse teoriche, metodologiche e strumentali messe a disposizione dal paradigma. In questo modo il paradigma è arricchito in modo progressivo ed incrementale sia con nuovi elementi teorici, sia con i risultati sperimentali che li confermano. Con il tempo, però, è inevitabile che i paradigmi entrino in uno stato di crisi profonda a causa delle crescenti discordanze tra le osservazioni sperimentali ed i fondamenti teorici dettati dal paradigma. Tali crisi sono talmente profonde da non essere sanabili con cambiamenti marginali a questi fondamenti teorici, ma richiedono una profonda rivisitazione dell’intero paradigma. Questa rivisitazione non è però possibile perché il paradigma, essendo incarnato da uomini che sulle sue basi hanno costruito la loro intera vita professionale, è una struttura dotata di un’inerzia eccessiva. Per questo motivo, la scienza può uscire dal punto morto nella quale è finita solo attraverso l’emergere di un nuovo paradigma, che dimostri migliori capacità di spiegare teoricamente l’evidenza sperimentale discordante che ha dato vita alla crisi, e che sia allo stesso tempo capace di spiegare i fenomeni che invece non davano problemi. La concorrenza tra paradigmi si risolve quindi, secondo Kuhn, in base ad una specie di “selezione naturale” operata in base alla capacità di meglio “risolvere gli enigmi” posti dalla natura. Il paradigma soccombente muore perché progressivamente abbandonato dalla comunità scientifica, che lo vede ormai come un relitto inefficace, e cede il posto al vincitore; seguirà quindi un altro periodo di “scienza normale” basata sul secondo, finché una nuova crisi condurrà a ripetere ancora il ciclo. La disputa tra paradigmi concorrenti non è invece risolvibile attraverso il dibattito o il confronto, in quanto essi muovono da basi teoriche incommensurabili.

Questo, in estrema sintesi, è lo schema proposto da Kuhn. Per alcuni versi, un cultore della New Age potrebbe rincuorarsi nel leggere le righe precedenti, sentendosi protagonista della storia che in esse è raccontata. In realtà, però, i fatti appaiono essere notevolmente diversi, secondo tre punti principali: l’assenza di crisi profonda nella scienza ufficiale, la tendenza della New Age a prediligere la teorizzazione alla sperimentazione, e la sua scarsa cura verso i fenomeni “ordinari” della natura.

In primo luogo, è in effetti difficile scorgere una crisi nella scienza ufficiale, ovvero una sua sostanziale e insanabile incapacità di spiegare l’evidenza empirica e sperimentale che emerge dal lavoro di ricerca. Kuhn, nel poscritto alla seconda edizione del libro citato in precedenza, afferma che la crisi non è in realtà un prerequisito perché un paradigma nasca, ma lo è certamente perché abbia senso e luogo un confronto tra i paradigmi. Riferendosi al caso in esame, questo significa che se anche le discipline della New Age fossero inquadrabili quali paradigmi scientifici, esse potranno affermarsi come tali solo se dimostreranno la loro superiorità sui paradigmi attuali soppiantandoli – si ricordi che Kuhn acutamente fa osservare come la composizione tra paradigmi concorrenti non sia possibile a causa dell’inconciliabilità delle rispettive posizioni di partenza – e questo potrà avvenire solo quando i paradigmi attuali avranno iniziato ad attraversare un momento di crisi sufficientemente forte. Per la maggior parte delle discipline scientifiche, in questo momento non sta avvenendo nulla di tutto ciò, cosa che impedisce di riconoscere validità ai “paradigmi” della New Age e suggerisce piuttosto di rimanere attaccati al “paradigma dominante”. Se dunque i cultori della New Age vogliono proseguire sulla loro strada, sono ovviamente liberi di farlo, ma per avere il riconoscimento di scientificità al quale ambiscono dovranno essere in grado di competere con successo con la scienza ufficiale in una specie di lotta all’ultimo sangue, dimostrando di essere migliori di essa nello spiegare i fenomeni della natura.

In secondo luogo, il fatto che il meccanismo evoluzionistico che regola lo scontro tra paradigmi sia determinato dalla capacità di spiegare i fenomeni naturali fa sì che l’amore e l’attenzione per la sperimentazione e l’osservazione siano i cardini del progresso scientifico. Compito della scienza è quello di sviluppare teorie la cui unica funzione è quella di permettere la spiegazione dei fenomeni naturali. Nelle rivoluzioni scientifiche, i fautori del paradigma tradizionale tenderanno però a smorzare le discordanze sperimentali per poter meglio difendere, almeno nel loro impianto di base, le loro teorie ormai inadeguate. Al contrario, i sostenitori del nuovo paradigma tenderanno a dare grande rilievo all’evidenza sperimentale per fondare su di essa le loro teorie innovative, per giustificare il notevole sforzo da loro compiuto in tal senso e, infine, per smentire la validità della teoria preesistente. Nello scontro tra scienza e New Age le parti sembrano però essersi invertite: nella prima ci si muove continuamente con grande attenzione alla realtà sperimentale ed empirica, mentre nella seconda il riscontro sperimentale sembra passare in secondo piano davanti alla necessità di proporre e mettere a punto le teorizzazioni elaborate e fantasiose di cui si è parlato nella sezione precedente. A riprova di ciò, le affermazioni fatte negli articoli provenienti dalla letteratura New Age sono in genere supportate da evidenze di tipo aneddotico, nelle quali ci si limita a raccontare i fenomeni osservati, quasi mai sorretti da una base statistica di minima solidità (11).

Infine, anche se il motivo che spinge degli scienziati a dare vita ad un nuovo paradigma scientifico è quello di sanare le divergenze con la realtà fisica che il paradigma precedente non riesce a spiegare, è essenziale che essi siano comunque attenti a comprendere, nelle loro teorie innovative, la spiegazione di tutte le osservazioni preesistenti, comprese quelle più banali, che non stridevano con il paradigma precedente. Di conseguenza, sarebbe per esempio bene che gli studiosi New Age, dopo aver ipotizzato l’esistenza di “fluidi energetici cosmici” per spiegare il fenomeno delle “mani calde” dei guaritori (ammesso che tali fenomeni siano genuinamente riscontrabili), si preoccupassero anche delle conseguenze che l’esistenza di questi fluidi così potenti e pervasivi dovrebbe portare nella fisica, nella chimica e nella biologia. Essi dovrebbero quindi impegnarsi a spiegare teoricamente e dimostrare sperimentalmente, alla luce delle loro teorie energetiche, fenomeni “ordinari” quali la caduta di un albero colpito dal fulmine o l’azione dell’aspirina sul corpo umano. I cultori della New Age non si preoccupano dei fenomeni ordinari e si limitano a sostenere come, grazie alle loro mirabolanti teorie, “le scienze dovranno un giorno essere riscritte”. Pur ammettendo la bontà di queste loro teorie, non possono però pretendere che sia qualcun altro a farlo, perché tale compito può spettare soltanto a loro.

All’inizio di questa sezione, nell’inquadrare il significato da dare alla presunta emarginazione accademica di cui sarebbero vittime le discipline della New Age, si era accennato alla possibilità che questa non fosse solo legata a specifiche discipline e teorie scientifiche, ma che fosse un atteggiamento più ampio, con il quale la scienza nel suo complesso rifiuta tutto ciò che non nasce da essa. Se questo è il livello dello scontro, la New Age non sarebbe da considerarsi quale un contenitore di teorie e paradigmi destinati a rivoluzionare le singole discipline scientifiche, ma rappresenterebbe addirittura un modo nuovo di interpretare e condurre l’attività scientifica (12).

Alcuni fautori della New Age, tra i quali primeggia il fisico Fritjof Capra, hanno in effetti una posizione di questo tipo, tesa a teorizzare la nascita di una “nuova scienza”, nella quale dovrebbero convergere osservazioni sperimentali, teorie metafisiche orientaleggianti e così via. Di questa impostazione si è già parlato in modo critico nella precedente sezione, partendo dai minimi canoni metodologici richiesti dalla scienza contemporanea (e anche dal semplice buon senso). In ciò tale discussione potrebbe presentare un limite: se la New Age fosse davvero la “scienza del futuro”, destinata quindi a rivoluzionare non solo alcune singole discipline ma addirittura il modo di “fare scienza” in generale, è ovvio che anche i canoni metodologici dovrebbero cambiare. Seguendo ancora Kuhn, si tratterebbe cioè di una rivoluzione paradigmatica non solo relativa a singole discipline, ma allo stesso metodo scientifico. Simili rivoluzioni sono indubbiamente molto più rare nella storia della scienza (come esempio si può citare il quasi unico caso del metodo sperimentale, inizialmente proposto da Galileo).

Ancora una volta, però, le rivoluzioni metodologiche non avvengono a tavolino, come frutto di una teorizzazione fine a se stessa: esse hanno luogo o perché un nuovo metodo è capace di meglio guidare le singole discipline scientifiche nel loro unico scopo, che è quello di spiegare i fenomeni naturali (si tratta quindi di un approccio prescrittivo), o perché è invece capace di meglio spiegare gli avvenimenti passati della storia della scienza (si tratta in questo caso di un approccio di tipo interpretativo).

Comunque sia, il fantasioso “metodo” proposto dalla New Age non si è per ora dimostrato in grado di condurre nessuna delle relative discipline alla vittoria sul paradigma dominante nella scienza ufficiale. Inoltre, esso si trova decisamente agli antipodi rispetto alla storia sin qui vissuta dalla scienza.

Nella totale libertà di proseguire in questa impresa, non si può che invitare i cultori della New Age a continuare la loro sfida, nella consapevolezza che, se il loro metodo è realmente migliore, un giorno sarà destinato a trionfare. Sino ad allora, però, essi non possono lamentarsi dello scetticismo nutrito nei loro confronti

Come ulteriore difesa, nell’ambito della New Age si afferma talvolta che la propria concezione di scienza sarebbe da considerarsi migliore di quella tradizionale non tanto sul piano dello spiegazione dei fenomeni naturali, quanto sul piano del maggiore benessere che essa potrebbe donare all’umanità. In particolare, il concetto di “olismo” che anima la New Age, rinnegando l’estrema specializzazione della scienza moderna e la sua separazione dalla metafisica, punta esplicitamente a far ritrovare l’unità della natura ed in particolare dell’uomo (13).

Si tratta di un concetto di indubbia suggestione e sinceramente condivisibile, se si tratta di riportare l’attenzione dello studioso all’“uomo integrale”, facendo sì ad esempio che l’endocrinologo veda i suoi pazienti come persone umane, in tutta la loro complessità ed individualità, e non solo come delle sofisticate “macchine ormonali” da tarare. Il discorso sulla specializzazione non può però essere liquidato solo guardando  ne i difetti: la specializzazione è infatti uno dei più importanti fattori che hanno consentito alla scienza occidentale di crescere con la vertiginosa velocità che tutti conoscono, e di superare ampiamente tutte le culture scientifiche nate in altre parti del pianeta, che pure avevano raggiunto anche in tempi antichi risultati notevolissimi. I guasti provocati dalla eccessiva specializzazione devono essere riconosciuti e risolti, ma fa sorridere l’idea che questo possa essere fatto rinnegando in blocco il concetto stesso di specializzazione. Semmai, sarà bene aiutare ad avere uno sguardo attento al lavoro svolto nelle discipline contigue alla propria non solo gli scienziati, ma soprattutto i professionisti che operano su risultati scientifici (come ad esempio, medici, chimici, e così via).

 

 

4. Pur ammettendo delle basi scientifiche, quale l’atteggiamento del credente?

 

La discussione precedente ha avuto l’obiettivo di mettere in luce numerose contraddizioni che minano la credibilità scientifica delle discipline New Age. Ora, si supponga per un istante che le argomentazioni precedenti fossero così poco indovinate che, in un futuro prossimo, le discipline New Age riescano a diventare pienamente parte della scienza ufficiale: si supponga cioè che nelle università siano istituite cattedre di “fondamenti di energia cosmica”, corsi di specializzazione in iridologia, esami di Stato per l’abilitazione alla professione di pranoterapeuta, e che parte del percorso formativo obbligatorio dei giovani medici sia costituito dal raggiungimento del livello di Master di Reiki. Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del credente in questo caso? Mantenere ferme le proprie posizioni, continuando a denunciare l’incompatibilità tra la dottrina New Age ed il deposito della fede? Oppure capitolare, accettando il verdetto proveniente dal mondo accademico e considerando tutto sommato accettabili le dottrine New Age, in quanto “scientificamente dimostrate”?

Se si accetta il modello introdotto in precedenza, che considera Scienza e Fede come le due entità complementari che camminano insieme per condurre l’umanità verso l’unica Verità, l’unico atteggiamento possibile è il secondo. D’altra parte, chi vorrebbe assumersi la responsabilità di scatenare un nuovo “caso Galileo”? Quale prelato vorrebbe rischiare di replicare la parte del cardinale Bellarmino nei confronti del grande scienziato pisano? Non per niente, nel mondo cattolico le maggiori critiche alle discipline parascientifiche giungono dai laici, sovente sulla base del semplice buon senso, mentre gli ecclesiastici preferiscono mantenere posizioni più ambigue, che sono facilmente interpretabili come favorevoli. Il “modello” di cui si è parlato pecca però di un difetto fondamentale: esso nasce dalla concezione positivista che assume che la verità fisica sia una, e che la scienza in grado, in modo progressivo ed incrementale, di avvicinarsi ad essa. Questa concezione è però ormai superata dalla filosofia della scienza contemporanea, anche se rimane viva nell’immaginario comune (14).

In particolare, l’analisi svolta dai filosofi e dagli storici della scienza in questo secolo parte proprio dal riconoscimento che la scienza non può essere in grado di fornire, e non ha mai fornito, delle affermazioni che siano assolutamente vere (15). L’approccio Kuhniano discusso in precedenza evidenzia come le teorie scientifiche vengano soppiantate da altre teorie, e che quindi nessuna di esse possa essere dichiarata vera. Il progresso scientifico consiste nel fatto che le teorie diventino via via più efficaci nel loro compito di spiegare gli enigmi presentati dalla natura, ma questo non ha nulla a che vedere con il grado di verità in loro contenuto. Prima dell’analisi storica svolta da Kuhn, il noto filosofo Karl Popper ha evidenziato come, nella scienza, l’unica certezza possa risiedere nella confutazione di una teoria, ma mai nella sua conferma. All’approccio Popperiano sono state riconosciute delle limitazioni soprattutto in merito alla sua rozzezza nello spiegare le dinamiche evolutive della scienza (Lakatos, 1974), ma la sua impostazione logica rimane comunque importante e condivisibile (16). Il già citato Feyerabend, nell’invocare una più elastica demarcazione tra scienza e non-scienza, non lo fa però in modo da far assumere un canone di assolutezza alla seconda, ma semmai in modo da abbattere quello di cui la prima ha goduto per lungo tempo.

La teoria scientifica perde quindi, nella concezione contemporanea, quell’aura di oggettività ed assolutezza che le viene attribuita dal sentire comune. Questo fatto aiuta a ridimensionare notevolmente la portata del conflitto tra scienza e fede, sia in merito agli avvenimenti passati, sia a quelli che eventualmente potranno emergere nel futuro. Scienza e fede infatti non solo operano su due ambiti diversi, ma possono agire su livelli diversi di categoricità: mentre la prima è intrinsecamente fallibile, per il credente la seconda è invece perfettamente e pienamente rivelata per l’azione divina. Per questo motivo lo stringere dei legami tra scienza e metafisica, così come proposto nella New Age, è fuori luogo a causa dell’intrinseca diversità tra le due attività (la stessa esperienza patita da Galileo insegna quali conseguenze abbia una tale proposta). Stringere tali legami significa muoversi su un terreno minato per ambedue le discipline, conducendole facilmente ad un abbraccio mortale nel quale l’una soffoca il progresso dell’altra. Anche se innalzare l’analisi scientifica verso realtà più elevate sembra essere un obiettivo nobile, la scienza non riuscirà mai a studiare l’Insondabile per definizione (anche se i signori della New Age ogni tanto parlano di realtà fisiche non osservabili!). Piuttosto, l’effetto di questa operazione (inconsapevole o voluto?) è quello di negare l’esistenza del trascendente, postulando la sua totale naturalità, e giungendo alla conclusione che la via alla Rivelazione passa attraverso una “nuova scienza”, costituita da una strana mistura di razionalità ed esperienze medianiche degna degli antichi alchimisti.

Tornando all’ipotesi fatta in partenza, di una vasta accettazione delle discipline New Age, la fallibilità della scienza fa sì che, per il credente, la verità accettata nella comunità scientifica non sia da vedersi come un qualcosa di positivamente vincolante ma, semmai, come una spiegazione efficace dei fenomeni naturali, migliore di quelle passate ma peggiore di quelle future. Senza giungere, come fanno i fondamentalisti, a demonizzare le teorie scientifiche che contrastano con la fede (come ad esempio la casualità come motore dell’evoluzione biologica), si ha comunque il completo diritto di mantenersi scettici anche nei confronti di ciò che pare essere “scientificamente provato”, se ciò può contrastare con la fede. Questo scetticismo non deve provocare atteggiamenti passivi e di ritiro dal dibattito scientifico; semmai, in ordine alla missione che l’attività scientifica ha nella società umana, deve stimolare i credenti a sviluppare teorie e paradigmi che, oltre a meglio conciliarsi con le verità trascendenti professate, sappiano soprattutto vincere la sfida con quelle contrastanti sul piano dell’efficacia nell’interpretazione dei fenomeni naturali.

 

 

Conclusioni

 

In conclusione, al cristiano che si pone davanti alla letteratura parascientifica della New Age, è possibile proporre due riflessioni. In primo luogo, non si abbia il timore che rigettando con decisione le tesi della New Age si possa ripetere un novello caso Galileo: l’importanza di questo grande e la forza dei suoi argomenti risiedevano proprio nella sua affermazione del metodo scientifico. La New Age, invece, riesce a giustificare la propria esistenza solo trincerandosi dietro all’assenza di metodo e dietro alla accuse di emarginazione lanciate al mondo accademico, accuse la cui pretestuosità è stata discussa. In secondo luogo, la concezione della verità scientifica elaborata dal pensiero moderno ridimensiona nettamente il grado di assolutezza attribuibile alle verità scientifiche; per questa ragione, anche se le discipline New Age dovessero guadagnare accettazione sul piano scientifico, l’opposizione che ad esse la Chiesa deve muovere a causa delle discordanze sul piano metafisico sarebbe giustificata, se condotta in modo costruttivo. Questo senza timore di apparire, accusa questa più volte ricevuta nel passato, “oscurantista” e retrograda.

Uno scarso rigore metodologico, unito agli spettri di antiche eresie, caratterizza dunque in modo assai marcato il modo con il quale gli ambienti New Age affrontano il problema della scienza; al di là dei concetti introdotti in questo articolo, un po’ di sano scetticismo e di buon senso sono sicuramente i primi antidoti da consigliare per evitare di rimanerne affascinati in modo acritico.

 

* "Una voce grida…!"  n. 5. 

NOTE

  1. Il corsivo è dell’autore. In realtà, affermazioni così forti non sono molto comuni nel prudente linguaggio del Magistero. Per esempio, nella Costituzione Conciliare Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, alla scienza viene sì riconosciuta grande importanza, ma solo in quanto strumento che consente di far progredire l’uomo sul piano intellettuale e di migliorarne le condizioni di vita.
  2. “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse… plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” (Genesi 2, 15.19).
  3. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo “…Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l’intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori” (n. 283).

4.        Ad esempio, il CICAP, Centro Internazionale di Controllo Affermazioni sul Paranormale, la cui attività è ampiamente divulgata anche sui mezzi di comunicazione di massa (Angela, 1978).

  1. “Nei dialoghi platonici, Socrate afferma il rapporto tra la validità di una conoscenza e il modo in cui essa viene raggiunta. Sia il metodo maieutico di Scorate, sia il metodo dialettico teorizzato da Platone, sono procedure volte a evitare l’errore nell’analisi dei concetti; specialmente quella forma di errore che consiste nell’accettazione tacita di pregiudizi” (dalla voce “metodo”, Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano, 1981).
  2. In uno scritto precedente (Feyerabend, 1964), egli distingue in modo assai acuto tra persone rispettabili ed “eccentrici””: “La distinzione non giace nel fatto che i primi suggeriscono ciò che è plausibile e promettente, mentre i secondi suggeriscono ciò che non plausibile, assurdo, e destinato a fallire. Non può perché non potremo mai conoscere in anticipo quale teoria avrà successo e quale invece fallirà… No, la distinzione tra l’eccentrico ed il pensatore rispettabile giace nella ricerca che viene svolta quando si adotta un certo punto di vista. L’eccentrico generalmente si accontenta di difendere il punto di vista nella sua forma originale, embrionale, metafisica, ed è per nulla preparato a provare la sua validità in tutti quei casi in cui sembrerebbe favorito il suo avversario, e nemmeno ad ammettere che esiste un problema. E’ questa investigazione ulteriore, i suoi i suoi dettagli, la conoscenza delle difficoltà, il riconoscimento delle obiezioni, che distingue il “pensatore rispettabile” dall’eccentrico. Non il contenuto originale della sua teoria. Se egli pensa che alle teorie di Aristotele dovrebbe essere dato credito, lasciatelo fare ed aspettate i risultati. Se si accontenta della sua affermazione e non inizia ad elaborare una nuova dinamica, se rimane poco cosciente delle difficoltà iniziali della sua posizione, allora la questione non ha più alcun interesse. Però, se non si accontenta dell’Aristotelianesimo nella forma in cui esiste oggi, ma prova ad adattarlo alla conoscenza attuale dell’astronomia e della fisica, proponendo nuove idee, guardando a problemi vecchi da un punto di vista nuovo, allora siate grati che ci sia almeno qualcuno che ha idee originali, e non provate a fermarlo in anticipo con argomenti irrilevanti ed errati” (traduzione a cura dell’autore).

7.        Sul legame tra l’ambiguità di una teoria e la sua accettabilità come affermazione scientifica si veda anche la nota n.16 più avanti.

  1. In realtà, la scienza ufficiale solleva nei confronti dei cultori delle “parascienze” un’osservazione analoga, accusandoli di sfuggire sistematicamente ad un confronto serio e condotto su basi scientifiche (si veda ad esempio la difficile attività dei già citati gruppi di studiosi quali il CICAP), preferendo invece l’isolamento nei propri circoli, l’organizzazione di propri convegni e la gestione autonoma di riviste e libri. A questa accusa i cultori delle “parascienze” rispondono dicendo di essere costretti a questa autonomia a causa dell’ostracismo da loro mosso dalla scienza ufficiale, e così via. In questa sezione si vuole provare a discutere e chiarire l’essenza e la portata di questa supposta “esclusione”, senza però entrare in questo dibattito senza fine.
  2. Per paradigma Kuhn intende l’insieme di conoscenze scientifiche preesistenti e condivise, di strumenti e metodi di indagine che caratterizzano la professione del ricercatore, inserito in una data comunità scientifica, nei periodi di “scienza normale” che intercorrono tra una rivoluzione e l’altra. Grosso modo, per “paradigma” si può intendere quel bagaglio di concetti e quell’insieme di comportamenti e competenze che vengono insegnati agli studenti delle discipline scientifiche nel corso dei loro curriculum formativo affinché, utilizzandoli dopo il loro periodo di istruzione, questi possano proseguire nel lavoro di ricerca all’interno del paradigma stesso.

10.     Non si vuole qui sfruttare la teoria di Kuhn per anticipare l’esito di questo scontro e dichiarare anzitempo vincente uno dei contendenti: lo stesso Kuhn, infatti, afferma che le rivoluzioni scientifiche possono essere comprese solamente a posteriori, dopo la loro conclusione. Quello che invece si vuole fare, è vedere se quello schema che si è ripetuto con una forte regolarità nel passato in occasione degli scontri tra paradigmi scientifici concorrenti sia riscontrabile almeno in parte nel confronto tra scienza e New Age.

  1. Come esempio, l’affermazione che il pranoterapeuta Tizio ha guarito, in cinque anni di attività, mille persone ammalate di ulcera gastrica non ha alcun significato scientifico. Pur assumendo che l’affermazione sia genuina, con essa non si dice però nulla (i) sul numero di persone che, avendo la medesima malattia, non sono state guarite o sono addirittura peggiorate (ii) sul numero di persone la cui guarigione è stata temporanea ed hanno poi avuto delle ricadute, (iii) sul numero di persone che sarebbero comunque guarite a causa di altri fattori, quali la contemporanea assunzione di medicinali, cambiamenti nello stile di vita, l’effetto placebo indotto dal pranoterapeuta, e così via. E’ noto che, senza una seria pianificazione dell’esperimento, con gruppi di controllo e protocolli di verifica esaustivi, qualsiasi fenomeno sia facilmente “dimostrabile” (così come il suo contrario).
  2. In realtà non esiste una sede dove un simile scontro possa concretamente avvenire. Nel mondo della scienza non esiste un “comitato centrale” dove risolvere dispute di questo calibro, in quanto le discipline scientifiche conducono generalmente una vita in una grande, e forse eccessiva, indipendenza reciproca. Pertanto, gli “scontri” della New Age con la scienza, che sono tutto sommato assai rari in quanto ambedue si accontentano di occuparsi dei rispettivi convegni e pubblicazioni, avvengono in genere con singoli scienziati e su argomenti specifici. Le poche volte in cui la sede dello scontro è più elevata sono legate agli interventi con i quali le singole comunità scientifiche assumono un ruolo di salvaguardia sociale, mettendo in guardia il pubblico profano da una troppo facile accettazione delle parascienze e dei ritrovati da loro proposti (Ziman 84, p. 186).
  3. Qui l’influenza filosofica orientale fa sentire tutto il suo peso. Nella New Age, infatti, l’universo intero viene visto come un'unica grande entità vivente, che si giunge ad identificare con la divinità. Ciascuno dei componenti dell’universo, viventi e non, sono dunque parte di questo “tutto cosmico”, e si ritiene fondamentalmente errato qualunque approccio che punti ad isolare i vari componenti in base alla natura apparente (ad esempio, gli uomini dagli animali) e, soprattutto, ad analizzare uno stesso componente secondo punti di vista parziali (come ad esempio si fa nella medicina specialistica).
  4. A questo riguardo non si può non consigliare un approfondimento su questo argomento per evitare, così come fatto da molti, di attribuire alla conoscenza scientifica delle doti più grandi di quelle che la scienza stessa attribuisce a se stessa. A tal scopo sono consigliabili il semplice ed esaustivo libro di divulgazione di Alan Chalmers (1982), anche nella sua traduzione italiana, o il più ampio testo di John Ziman (1984), che introduce agli studi dei filosofici, storici e sociologici che hanno per oggetto il “fenomeno” della scienza.
  5. Senza voler scendere nei dettagli di questo dibattito, i problemi principali che minano la posizione positivista ed il metodo induttivo risiedono (i) nella sua inconsistenza logica, dovuta all’impossibilità di fornire una sperimentazione che sia assolutamente esaustiva (l’affermazione “ i cani hanno quattro zampe” si basa sul fatto che tutti i cani che lo scienziato ha visto avevano quattro zampe, ma questo non potrà mai annullare la probabilità che possa esistere un cane con un numero di zampe diverso da quattro); (ii) nel fatto che è falso sostenere che le teorie nascono dall’osservazione, perché in realtà qualunque osservazione e qualunque attività sperimentale sono influenzate dalle conoscenze teoriche precedenti (nell’esempio precedente, l’affermazione implica che esista un concetto condiviso di “cane” e di “zampa”, e la sua validità dipende da questo concetto).
  6. La teoria di Popper risale agli anni Trenta. I testi maggiormente citati, nei quali la si può trovare enunciata in maniera sistematica sono (Popper, 1968, 1969). Per utilizzare l’esempio precedente, Popper direbbe che lo scienziato, basandosi sulle evidenze da lui raccolte, afferma “i cani hanno quattro zampe”, e che questa teoria può essere considerata accettabile (non vera!) finché non capita di osservare un cane a sei zampe. Ora, mentre nessuna osservazione può essere sufficientemente esaustiva da confermare l’affermazione positiva sul numero di zampe dei cani, è al contrario sufficiente un solo controesempio per confutarla.  E’ inoltre interessante osservare con Popper che le teorie scientifiche sono tanto migliori quanto più “falsificabili” ovvero, esprimendo contenuti coraggiosi ed essendo formulate in modo preciso, rendono più facile il lavoro di chi si accinge a confutarle sperimentalmente. Ad esempio, l’affermazione “tutti i mammiferi hanno quattro zampe” è più facilmente falsificabile di quella precedente, relativa ai soli cani, perché è più coraggiosa e, in quanto tale, più agevole trovare un controesempio per confutarla. Essa è migliore perché, finché questo non avverrà, essa avrà delle conseguenze più importanti dell’altra sulla conoscenza scientifica. Come esempio relativo al concetto di precisione, l’affermazione “la giornata potrà riservarvi delle belle sorprese in campo affettivo” (presa dal mio oroscopo sul giornale odierno) non ha invece nulla di scientifico perché non è confutabile: la formulazione ipotetica fa sì che essa risulti vera sia nel caso in cui vi siano delle sorprese, sia nel caso in cui non avvenga nulla, e rimane vera anche se le sorprese, purtroppo, sono brutte. Anche la teoria “il paziente può guarire per merito del fluido del pranoterapeuta, ma potrebbe non guarire per effetto della sua negatività psicologica” non ha nulla di scientifico perché non è possibile confutarla, e rimane vera sia che il paziente guarisca, sia che invece non guarisca (a meno che non esistano degli strumenti atti a misurare sia il fluido del guaritore, sia le negatività psicologiche). Ora, molte teorie della New Age sono formulate proprio in modo da non essere falsificabili, in quanto costruite usando formulazioni ipotetiche e facendo ricorso al linguaggio e ad esperienze metafisiche che sono ovviamente incontrollabili. Esse possono essere considerate delle belle affermazioni dal punto di vista mistico e spirituale, ma senza validità scientifica.

 

 

 Riferimenti bibliografici

 

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- Angela P., 1978, Viaggio nel mondo del paranormale, Garzanti, Milano.

 

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- Kuhn, T.S., 1962, The structure of scientific revolutions, The University of Chicago Press, Chicago.

 

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- Introvigne M., 1994, Storia del New Age 1962-1992, Cristianità, Piacenza.

 

- Introvigne M, 1995, La sfida magica, Ed. Ancora, Milano.

 

- Popper K.R., 1968, The logic of scientific discovery, Hutchinson, Londra.

 

- Popper K.R., 1969, Conjectures and Refutations, Routledge and Kegan Paul, Londra.

                        

- “Una voce grida...!”, 1995-99.

 

- Ziman J., 1984, An introduction to science studies, Cambridge University Press, Cambridge.

 

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