Se l'italiano cambia Dio, di Michele Brambilla

(dal "Corriere della Sera" di domenica 14.3.1999 - Cultura)

 

INCHIESTA La nuova spiritualità dopo l'immigrazione dai Paesi musulmani e la diffusione delle dottrine orientali. I dati, le testimonianze di due convertiti e il parere di Introvigne

 

RELIGIONE - Se l'italiano cambia Dio

Ma il vero culto di
maggioranza è il "fai da te"

di MICHELE BRAMBILLA

 

C'era una volta la secolarizzazione. Negli anni Settanta, solo il 70 per cento degli italiani si diceva in qualche modo "interessato al sacro": oggi, la quota degli "interessati" è salita al 90 per cento. E c'era una volta l'ateismo: oggi sembra, pure questo, scomparso, tanto che qualche anno fa la Santa Sede ha chiuso il "Pontificio Consiglio per il dialogo con i non credenti", ritenendo, evidentemente, che i non credenti non esistano più.

Crediamo dunque tutti in Dio. Già: ma in quale? Siamo ancora tutti cattolici, noi italiani? Le mode venute dall'Oriente e gli stranieri venuti soprattutto dai Paesi musulmani hanno cambiato la mappa della fede in Italia, e oggi è molto più facile imbattersi - negli ambienti più comuni: in ufficio, ad esempio - in persone che professano un credo diverso da quello che deriva dal battesimo. E non parliamo, si badi bene, solo di immigrati, ma anche di italiani, ex cattolici convertiti a Buddha o ad Allah, come i due personaggi intervistati in questa pagina. Altri, poi, hanno scelto dottrine ancor più lontane dalla nostra cultura, entrando in quelle formazioni a metà tra il religioso e il magico che siamo soliti etichettare come "sette".

Massimo Introvigne è il maggior esperto italiano di nuovi movimenti religiosi, e di minoranze religiose in genere. Nel 1988 ha fondato a Torino il Cesnur, Centro studi nuove religioni, un organismo indipendente cui si rivolgono - per pareri e statistiche - Chiese, ministeri degli Interni e polizie di tutto il mondo: l'ultima ad aver allacciato un rapporto di collaborazione è l'Fbi. "Sì, la mappa della fede è cambiata", spiega, "ma vanno smentiti due luoghi comuni tanto radicati quanto infondati: non è vero che questo ritorno al sacro si indirizza soprattutto al di fuori delle Chiese istituzionali, e non è vero che c'è un'esplosione delle sette. Anzi, gran parte della cosiddetta "ripresa religiosa" avviene proprio nell'ambito delle fedi tradizionali".

"Nel 1975", continua Introvigne, "la percentuale di chi andava a messa ogni domenica in Italia era del 27-28 per cento: oggi è del 32. Tanto per fare un esempio, in Francia è solo del 12 per cento. E poi i movimenti in maggior crescita appartengono proprio alle Chiese cristiane tradizionali. In ambito cattolico, sono 60 milioni in tutto il mondo, e 150.000 solo in Italia, i carismatici di Rinnovamento dello Spirito; nel campo protestante, i pentecostali sono 400 milioni nel mondo e 200.000 solo in Italia. Movimenti di cui sui giornali non si parla mai ma che, come si vede, sono infinitamente più numerosi di certi piccoli gruppi così spesso citati dai media, come gli Hare Krisna o i seguaci del reverendo Moon, che in Italia non hanno mai superato i mille aderenti".

La verità è che da noi non c'è stata un'invasione delle sette, ma un'invasione delle sigle. Nel febbraio del 1998 il ministero degli Interni ha stimato in 130 i "nuovi movimenti religiosi e magici"; secondo il Cesnur, i gruppi sono invece 500. "Ma tutti quanti messi insieme, contando anche i Testimoni di Geova, i buddisti della Soka Gakkai e i mormoni, fanno l'1 per cento della popolazione", dice Introvigne.

Più che dalle fedi venute dall'estero, e più che dalle sette, il primato dell'ortodossia cattolica è minacciato da un'altra religione, non ufficiale, sommersa, indefinita: è la religione del "fai da te", i cui fedeli attingono certezze e speranze un po' di qua e un po' di là, tra qualche messa e un seminario buddista, tra un corso di yoga e letture tipo La Profezia di Celestino. È significativo il dato emerso da una recente inchiesta, secondo cui il 21 per cento degli italiani crede sia nella resurrezione sia nella reincarnazione. Un dato che rivela ignoranza e confusione, e che mette in luce le dimensioni di questa religione "bricolage". New Age? No: New Age è un termine di cui i giornali hanno abusato, estendendolo a ogni forma di religiosità confusa, mentre invece sta a indicare un culto piuttosto preciso, che si è sviluppato soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna .

No, in Italia si tratta di un'altra cosa. Qualche giorno fa il calciatore del Bologna Beppe Signori ha rivelato di aver ritrovato la serenità frequentando un corso tenuto da un guru della "Next Age", Anthony Robbins, che fa camminare sui carboni ardenti. Eppure Signori è un devoto di padre Pio. Come lui, ce ne sono tanti: si prende un po' dalla Chiesa e un po' da ciò che capita. E forse la fede più diffusa oggi in Italia è proprio questa "religione bricolage", questo culto del "credere senza appartenere".

 

 

"Ero un ragazzo dell'oratorio, il buddismo mi ha illuminato"

 

Pierpaolo Muzzolon ha 46 anni, è veneto d'origine ma milanese d'adozione. Sposato con due figli, laureato in ingegneria, è responsabile delle risorse umane in un'azienda di informatica. Dal 1978 è membro della Soka Gakkai, l'associazione buddista più numerosa d'Italia: quella di cui fanno parte anche Roberto Baggio e Sabina Guzzanti.

 

- Ingegner Muzzolon, come ha incontrato il buddismo?

"Ero militare a Brescia, e una sera telefonai alla mia fidanzata, la donna che poi è diventata mia moglie. Mi dissero che era andata a una riunione di buddisti. La mia prima reazione fu pessima: sono un tipo piuttosto "quadrato", e diffidavo delle religioni orientali. Ma decisi di andare a fondo: alla prima occasione, partecipai a una di queste riunioni. Ricordo una vecchia casa di ringhiera, sui Navigli. Un'atmosfera aperta, cordiale, sincera. Tornai a casa con un'impressione positiva, di calore umano".

 

- Lei a quel tempo era un cattolico praticante?

"Lo ero stato. Anzi, ero cresciuto tra i preti, negli oratori. E alla Chiesa ero molto affezionato. Però al momento di quel primo impatto con il buddismo non ero già più, da circa un anno, un praticante".

 

- Perché?

"Nel cattolicesimo non riuscivo a trovare le risposte che cercavo. Intendiamoci: io non do giudizi sul cattolicesimo, che continuo a rispettare moltissimo, e non escludo che forse ero io a non "praticare" bene. Ma sta di fatto che il cattolicesimo era per me un abito che non mi stava addosso".

 

- Il buddismo, invece...

"Mi colpì la spiegazione della legge di causa ed effetto. Il buddismo mi ha insegnato che tutto quello che ci accade è l'effetto di nostri atti compiuti nel passato, intendendo per passato sia ciò che è accaduto un secondo prima, sia ciò che può essere successo in vite precedenti. Mi ha spiegato che noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato, e questo mi ha dato un grande senso di giustizia. Ho capito che abbiamo il potere di determinare il nostro futuro, e ho capito che, con i miei comportamenti, posso influenzare la mia vita e la realtà che mi circonda".

 

- Quando ha cominciato a praticare?

"Un mese dopo quei primi incontri. Da allora non ho più smesso. Ed è con la pratica che ho cominciato a sentire una grande tranquillità interiore".

 

- Ha, oppure ha avuto, qualche problema di inserimento? Nel lavoro, ad esempio.

"No. La mia vita non è diversa da quella della gente che incontro quotidianamente. Come vede, vesto normalmente; posso mangiare ciò che voglio, e non devo frequentare luoghi particolari. Certo, prego la mattina e la sera, e ho molti impegni con la nostra associazione. Ma non ho avuto problemi nel lavoro. Anzi, il buddismo ha migliorato il mio carattere, e di conseguenza tutti i miei rapporti con gli altri: quindi, anche sul lavoro".

 

- Non sente intorno a sé diffidenza o ilarità?

"Qualche volta sono stati presi in giro i miei figli, che non sono battezzati. Ma la maestra è stata bravissima a insegnare ai loro compagni il rispetto delle diversità"

 

- Ha mai pensato che anche con il cristianesimo avrebbe potuto trovare la serenità?

"Sì, e non so dire se, impegnandomi di più, avrei potuto vivere diversamente la mia religione d'origine. Non lo so. Dico solo che la mia storia è questa, e mi va benissimo".

 

 

"Ho scelto l'Islam in nome della tradizione. La Chiesa cattolica ha ceduto alla modernità"

 

Ha 42 anni, è milanese, laureato in lettere con specializzazione in archeologia, di professione amministra condomini. È sposato con una marocchina, di religione islamica. Chiede che venga pubblicato solo il suo nome arabo, Yahya Abdel Samad, acquisito dopo la conversione all'Islam, perché, spiega, "temo discriminazioni sul lavoro: ci sono molti pregiudizi contro i musulmani".

- Quando ha lasciato il cattolicesimo per aderire all'Islam?

"Nel '92. Con due testimoni musulmani ho fatto la "shaada", la professione di fede nell'Islam, e ho cambiato religione".

 

- Perché l'ha fatto?

"Sono sempre stato appassionato, fin da ragazzino, della cultura araba. Il mio primo approccio, insomma, è stato sui libri. Ma poi è scattato qualcosa: mi ha colpito il fatto che l'Islam è rimasto fedele ai suoi principi originari".

 

- Lei pensa invece che il cristianesimo sia cambiato?

"Penso che si sia aggiornato, che si sia modificato più volte. Per essere più precisi: penso che abbia ceduto troppo alla modernità. E così la pratica dei fedeli si è annacquata: oggi, ad esempio, chi pratica più il digiuno in Quaresima? Mentre tutti i musulmani rispettano il Ramadan. L'Occidente cristiano, oggi, è quasi completamente secolarizzato".

 

- Ma è colpa del cristianesimo o di chi ha abbandonato, nei fatti, la fede cristiana?

"Beh, io penso che la Chiesa, continuando a cedere sui princìpi, abbia favorito questa secolarizzazione. Nella civiltà cristiana vedo troppo lassismo nel campo della morale, e penso che questo non sia un caso. E poi non mi piacciono, nel cristianesimo, il culto mariano e quello dei santi: mi sembrano superstizioni pagane. Penso che l'Islam dia maggiori garanzie di adorare l'unico vero Dio, senza distorsioni e senza intermediari".

 

- Com'è cambiata la sua vita, dopo la conversione?

"Faccio la stessa vita di prima. Certo: non mangio carne di maiale, non bevo vino, recito la preghiera canonica, cinque volte al giorno, rivolto verso la Mecca; osservo il Ramadan, e quando posso vado in moschea. Ma sono sempre lo stesso, e credo nello stesso Dio degli ebrei e dei cristiani: solo, gliel'ho detto, l'Islam mi dà più garanzie di mantenermi fedele".

 

- Non c'è nulla che invidia ai cristiani?

"Sì, debbo essere sincero: credo che la Chiesa cattolica sia superiore per organizzazione gerarchica e per attenzione verso i più poveri, i più deboli".

 

- I suoi amici come hanno accolto la sua conversione?

"Dipende. Ci sono rimasti male quelli più anziani, ad esempio gli amici dei miei genitori, mentre i giovani l'hanno accettata. Anche i cattolici praticanti: sanno che crediamo nello stesso Dio. Cambia solo il modo di pregare".

 

 

 

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