Maria: Madre e Maestra di vita
Giuseppe, uomo giusto
Ambra Mazzoni
Quella di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, è una figura davvero importante, infatti perché Cristo discendesse da Davide, era necessario che il Suo padre legale fosse della stirpe di Davide; per questo, parlando di Giuseppe, su questa appartenenza i Vangeli sono minuziosamente precisi. Egli è Colui che Dio ha eletto fin dall’eternità per realizzare il Suo piano di salvezza: è Lui che, accogliendo Maria Santissima nella sua casa, farà sì che il Messia promesso divenga appunto "discendente di Davide", adempiendo così le profezie dell’Antico Testamento. Per comprendere l’importanza che quest’"uomo giusto" ha avuto nella vita di Maria e di Gesù è importante cercare di capire quale è stata la sua vita ed in particolare, tenendo conto delle testimonianze storiche sugli usi degli Israeliti, cercheremo di ricostruire il periodo del fidanzamento e delle nozze, cioè il momento in cui Giuseppe e Maria hanno detto un sì reciproco, che nei piani della Provvidenza Divina, assieme al "fiat" dell’Annunciazione (cfr. Lc 1,26-38), ha contribuito alla piena realizzazione del disegno di salvezza di Dio.
Compiuto dodici anni, un ebreo diventa maggiorenne. Il giovane poteva sposarsi dopo i quattordici; di fatto, era in uso che si sposasse intorno ai diciotto anni. Le ragazze erano solite sposarsi tra i dodici e i quattordici anni. In teoria, il giovane era libero nella scelta della sposa, ma, in pratica, per la giovane età e soprattutto per gli stretti legami familiari della società patriarcale, erano quasi sempre i genitori a decidere. Il padre dell’aspirante sposo, o un suo intimo amico, andava dal padre della ragazza per chiederla in sposa. Iniziavano così le trattative per valutare la convenienza del matrimonio e non è detto che anche la futura sposa non potesse venire interrogata, anche se il suo parere aveva ben poco peso. Se il padre della ragazza riteneva favorevole la proposta, bisognava stabilire l’aspetto economico: il prezzo che il fidanzato doveva pagare alla famiglia e la dote che la fidanzata avrebbe portato con se. Il prezzo, o monhar, consisteva in beni materiali o in lavoro che il fidanzato si impegnava a corrispondere alla famiglia della fidanzata per indennizzarla della perdita di lavoro causata dalla sottrazione di un membro valido. Se le parti si accordavano, avveniva il fidanzamento.
Nel giorno convenuto, il fidanzato si presentava nella casa della promessa sposa e dichiarava alla presenza di alcuni testimoni (i parenti più stretti): "Tu sei la mia fidanzata secondo la legge di Mosè e di Israele". Da quel momento il matrimonio era giuridicamente concluso, con tutti i diritti e doveri relativi, soprattutto l’obbligo della fedeltà. non era previsto alcun rito religioso, il quale veniva sostituito dalle benedizioni augurali dei genitori. Per alcuni mesi, circa un anno, i due giovani continuavano ad abitare in casa propria. Lo sposo doveva finire di pagare il monhar, preparare la casa per la nuova famiglia, mettere da parte l’occorrente per la festa nuziale. La sposa terminava di preparare la dote. Il fidanzato aveva piena libertà di andare a trovare la fidanzata nella sua casa, erano già legittimi i rapporti coniugali, anche se generalmente non avvenivano; ma se la sposa avesse tradito il marito, sarebbe stata punita come adultera: "Se una fanciulla vergine è fidanzata, ed un uomo trovandola nella città si sarà giaciuto con lei, siano condotti ambedue fuori dalla porta della città e siano lapidati, finche muoiano" (Dt 22,23-24); la stessa lapidazione è imposta per la fidanzata che non sia trovata vergine dal fidanzato (cfr. Dt 22, 20-21).
Ricordiamo queste disposizioni per dimostrare come, per gli Ebrei, il fidanzamento fosse già vero matrimonio a tutti gli effetti. Le nozze erano una festa per tutto il paese, specie per i parenti e gli amici degli sposi.
Consistevano nell’introdurre festosamente la sposa nella casa preparata per la nuova famiglia. Nel giorno stabilito, verso sera, lo sposo con i suoi amici andava in corteo verso la casa della sposa; questa, per accoglierlo con solennità, gli mandava incontro a riceverlo le sue amiche, con le fiaccole accese. I due cortei riuniti si avviavano rumorosamente verso la casa della sposa. Anche in questa occasione notiamo la mancanza di ogni cerimonia religiosa; il matrimonio era considerato un patto sacro, ma non era un sacramento, come verrà istituito da Cristo, con una ricchezza di significati ignoti all’Antico Testamento. I genitori e i parenti benedicevano la sposa, poi il grosso corteo procedeva insieme festosamente verso la nuova dimora, con canti e suoni di giubilo. Il momento più solenne si aveva all’arrivo, quando gli sposi si sedevano l’uno accanto all’altra sotto la chuppa, o baldacchino, che era stato preparato nella sala del banchetto o all’aperto. Iniziava allora la cena delle nozze, che poteva protrarsi fino a tarda notte, se gli sposi erano poveri; ma poteva proseguire anche per vari giorni di festa, secondo le possibilità economiche degli sposi e l’aiuto portato dagli invitati. Si capisce come, soprattutto nei piccoli paesi privi di ogni altra occasione di divertimento, le feste nuziali avessero grande risonanza, perché interrompevano il duro monotono ritmo del lavoro quotidiano. Potevano ben essere indicate come sinonimo di felicità.
Giuseppe, figlio di Giacobbe, era falegname ed apparteneva alla nobile famiglia di Davide. Era, questa, una famiglia di antica gloria, ma caduta in miseria da secoli, soprattutto dopo la cattività babilonese. E’ vero che continuava ad essere depositaria della promessa divina e che il profeta Amos aveva preannunciato: "Io rialzerò in quei giorni la capanna vacillante di Davide, richiuderò le brecce, rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi" (Am. 9, 11), ma era anche vero che di tale restaurazione da troppo tempo non v’era alcun sentore. La richiesta dei genitori di Giuseppe, che era ben conosciuto come osservante della Legge e laborioso, fu ben accolta dai genitori di Maria, per cui si procedette al fidanzamento (era circa l’anno 7 a.C.)
Possiamo pensare che Giuseppe, giovane diciottenne, si sposò senza nulla presagire del futuro straordinario a cui Dio lo chiamava. Lo capirà poi, il suo fu un sì gioioso, perché intravedeva in Maria la sposa ideale. Il sì di Maria fu un atto di obbedienza a Dio, che agiva attraverso le decisioni dei suoi genitori, secondo gli usi del tempo. Ella sapeva ben vedere la mano di Dio attraverso gli avvenimenti umani non dipendenti da Lei. Se, come era convinta, la sua totale consacrazione a Dio era stata suggerita ed accettata dal Signore, avrebbe pensato Lui a fargliela realizzare. Non si può parlare di un sì rassegnato: in Giuseppe Ella sicuramente vedeva il compagno della vita che la Provvidenza le aveva preparato.
* "Io sono la Via, la Verità e la Vita…!" n. III\ 7.