Il credente di
fronte alle “scienze” New Age: un approccio epistemologico
Marco Cantamessa
[Le note si trovano alla fine del
testo]
Sommario
Nel trattare il fenomeno della New Age e delle
molte discipline parascientifiche che ne fanno parte, gli autori cattolici
partono in genere o da un punto di vista teologico, evidenziando i molti ed
importanti elementi tipici di questo movimento che sono in contraddizione con
la fede cristiana, oppure da un punto di vista scientifico, mettendo in luce i
molti casi in cui tali discipline mostrano tutta la loro debolezza. L’articolo
adotta il secondo di questi punti di vista, impostando però l’esame delle “scienze” della New Age non sul piano di
singoli casi ed evidenze, ma su quello epistemologico. In particolare,
basandosi sulle principali teorie contemporanee della filosofia della scienza,
le “para-scienze” sono messe in
discussione a causa del loro metodo e della loro storia. Infine, pur ammettendo
per esse un possibile fondamento scientifico,
si mette in luce come il credente possa a buon diritto mantenere verso di esse
un atteggiamento cauto e prudente.
1. Introduzione
La società occidentale è oggigiorno sottoposta ad
un autentico bombardamento da parte di molte discipline parascientifiche
vecchie e nuove, che ultimamente appaiono legate all’ampio e sfuggente
movimento della New Age, e per le quali è sovente rivendicata una patente di
scientificità. Il fenomeno della New Age è stato più volte discusso da autori
cattolici e laici, che ne hanno messo in risalto ora la rilevanza e la velocità
di diffusione in una società quale la nostra, secolarizzata ed alla ricerca di
valori spirituali (Introvigne M., 1994), ora le gravi incompatibilità con la
fede cristiana (Introvigne M., 1995; Blondet M., 1996), ora i pericoli di natura spirituale e
psicologica connessi alle sue pratiche (“Una voce grida…!”,1995-99;
Aldunate C.,1994) e, infine, l’inconsistenza delle relative basi scientifiche
(Federspil e Scandellari, 1993). Soffermandosi in particolare su quest’ultimo
tema, gli autori in genere discutono le evidenze che, in singoli casi, portano
a smentire la validità scientifica di quanto affermato dai cultori di tali discipline.
Nasce così un’interminabile catena di dibattiti tra le due posizioni, nella
quale i contenuti tecnici ed il linguaggio specialistico portano ad escludere e
scoraggiare chi, pur non essendo uno specialista del campo, desidera in ogni
modo comprendere quanto sta avvenendo per disporre di validi criteri di
discernimento. Proprio la necessità di aiutare un pubblico il più vasto
possibile ad avere dei metri di valutazione seri e ben fondati suggerisce di
portare la discussione sul piano epistemologico, analizzando cioè le
para-scienze non tanto nei loro contenuti puntuali ma, più in generale, dal
punto di vista dell’approccio cognitivo, della prassi e del metodo che in esse
sono utilizzati.
Questo obiettivo porta a dover discutere le
relazioni che intercorrono tra la scienza, le discipline parascientifiche e la
fede. In particolare, ci si trova a dover parlare della prima proprio a causa
di quella “scientificità” che viene
molto sovente invocata dai cultori delle discipline New Age. Il concetto di
“scientificità” è una delle parole chiave della società nella quale viviamo:
una società che vive in un mondo largamente artificiale, nel quale è pervasiva
la presenza di oggetti, procedure e sistemi progettati e costruiti dall’uomo
grazie alle conoscenze generate in quel mondo affascinante, ma sovente poco conosciuto,
chiamato “scienza”. Al tema della
scienza è ovvio, quindi, che si dia oggi grande importanza, sia che se ne
vogliano magnificarne i frutti, sia che se ne vogliano mettere in evidenza i
limiti ed i pericoli. Il termine “scientifico”
è divenuto, nel linguaggio comune, sinonimo di “vero”, “credibile”, “intellettualmente accettabile”. Di
un’affermazione o di una teoria “scientificamente dimostrata” si pensa quindi
che, pur essendo possibile metterne in dubbio l’utilità sociale o
l’accettabilità etica, non sia in ogni caso lecito metterne in dubbio la
veridicità. A riprova di questo luogo comune, basta osservare come sovente,
nella comunicazione pubblicitaria, sia fatto un uso capzioso del termine “scientifico” (le creme sono sempre “dermatologicamente testate” e
l’efficacia dei dentifrici è “provata
scientificamente”).
La posizione del cristiano in questo campo è assai
difficile, a causa del peso intellettuale che la burrascosa storia delle
relazioni tra scienza e fede pone sulla mentalità comune. Sono ben note, ad
esempio, le vicende di Galileo e di Darwin, vicende generalmente lette con un
obiettivo deformante che le rende dei casi simbolici, gravandole così di un
peso ed una rilevanza ben superiore alla loro portata intrinseca. L’idea
dominante è che la Chiesa, che dalla Scolastica in poi si considerava maestra e
depositaria della Verità non solo nel campo metafisico ma anche in quello
fisico, nello scontrarsi con la Scienza si sia vista sottrarre questo monopolio
che deteneva in modo abusivo, dovendosi quindi accontentare di operare sul
terreno della metafisica. Sempre nel pensiero comune, questo scontro di potere
si sarebbe col tempo risolto e stemperato con l’imporsi di un modello
generalmente accettato, se si eccettuano alcuni irriducibili estremisti,
fondamentalisti da un lato e materialisti dall’altro. Secondo tale modello la
Fede e la Scienza sarebbero le guide che conducono l’umanità verso l’unica
Verità, la prima illuminandone gli aspetti metafisici e la seconda quelli
fisici, agendo così in modo perfettamente complementare. Come esempio di questo
modello, nella Dichiarazione Conciliare Gravissimum
Educationis sull’educazione cristiana, si afferma al n.10 come la ricerca
scientifica debba essere promossa nelle università cattoliche “....in maniera che
se ne abbia una sempre più profonda comprensione e … si colga più chiaramente
come fede e ragione si incontrano nell’unica verità (1), seguendo le
orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d’Aquino”.
L’attività scientifica diventa così non solo
lecita ma anche meritoria, in quanto porta l’uomo ad essere quel “custode dell’Eden” di cui parla il libro
del Genesi (2) e, facendo scoprire le meraviglie del Creato, diventa una via
per magnificare la grandezza di Dio (3). Vale la pena di osservare come questo
modello, benché rispettoso delle realtà trascendenti e del compito dato alla
Fede di scoprirle, ha una visione della scienza di stampo positivistico, in
quanto parte dall’assunzione che la Scienza sia in grado di rivelare, con il
progresso delle sue teorie, l’unica verità fisica del Creato. Questa posizione
sarà ripresa più tardi, nell’ultima sezione di questo articolo, mettendola a
confronto con le recenti teorie proposte dalla filosofia della scienza.
Con la nascita ed il diffondersi delle discipline
parascientifiche della New Age il credente si trova davanti ad un problema:
innanzitutto, se valga la pena occuparsene o se non sia il caso di lasciare
questo problema agli esperti, scienziati o teologi. In secondo luogo, se
credere o non credere a quanto affermato da queste discipline; infine, se
diventare di esse un attivo apostolo o un convinto detrattore. La soluzione al
terzo problema discende in realtà dai primi due: se si conviene che il fenomeno
della New Age sia trascurabile, l’atteggiamento da assumere è comunque di tipo
passivo. Sia che si decida di credere alle discipline parascientifiche, sia che
si decida di non crederci, la poca importanza del fenomeno rende inutile sia il
favorirle sia il combatterle. Ma se, al contrario, si conviene che il fenomeno
della New Age sia importante per il credente, allora diventa necessario
assumere un ruolo attivo: l’accettazione di queste teorie deve condurre ad
adoperarsi attivamente per diffonderle, mentre la non accettazione non può che
condurre ad osteggiarle apertamente.
Al primo di questi quesiti (per il credente “non specialista” vale la pena occuparsi
del fenomeno della New Age?) non si può che dare una risposta positiva. La New
Age, infatti, è un movimento che per vari aspetti giunge a riguardare la vita
di ogni cristiano: sul piano spirituale la commistione tra le pratiche
spirituali da essa proposte e la vita di pietà delle comunità cristiane ha
raggiunto dei livelli di diffusione preoccupanti. Questo fa sì che lo sviluppo
di un maturo senso critico e di discernimento tra i laici e tra i presbìteri
sia una necessità particolarmente urgente, se si vuole preservare e custodire
l’autenticità della fede cristiana. Rimanendo invece sull’aspetto scientifico,
che è il tema di questo articolo, l’opportunità di occuparsi della New Age
deriva dalla crescente diffusione nella nostra società delle pratiche di
medicina alternativa, tecniche queste che, oltre ad essere di dubbia efficacia
(e quindi pericolose, se accompagnate
dall’abbandono delle terapie mediche convenzionali), sono inoltre
strettamente mischiate con la deviante spiritualità New Age. L’idea di
utilizzare le pratiche terapeutiche della New Age senza farsi contaminare dalla
relativa spiritualità rappresenta, oltre che una posizione ambigua, una pia
illusione, a causa dell’inscindibile rapporto tra i due aspetti, terapeutico e
spirituale. Riguardo all’aspetto spirituale la Chiesa sta prendendo posizione,
seppur lentamente, mentre poco o nulla è fatto per quello delle medicine
alternative. Queste, oltretutto, godono di un immeritato seguito e del più o
meno esplicito incoraggiamento proprio negli ambienti ecclesiali, sia ad opera
dei laici, sia dei presbìteri. Se da un lato il Magistero, non essendo chiamato
ad essere maestro in tema di scienze naturali, si deve limitare ad indicare le
deviazioni in tema di fede implicate dalle medicine alternative, è d’altro
canto urgente che nel popolo di Dio maturi una visione matura e corretta di che
cos’è la scienza e di quale sia il rapporto che le discipline parascientifiche
della New Age hanno con essa. Questo articolo nasce appunto dal desiderio di
fornire un modesto contributo in tale senso, suggerendo nelle successive due
sezioni una risposta al secondo quesito posto in precedenza (si può credere
alle discipline della New Age sul piano scientifico?). L’ultima sezione
discuterà infine l’atteggiamento del credente, provando ad ipotizzare
l’eventualità che a queste discipline possa in qualche modo essere riconosciuto
un fondamento scientifico.
2. Le discipline
New Age hanno basi scientifiche?
Come si è accennato nell’introduzione, la
discussione sulle basi scientifiche delle discipline New Age sarà qui
concentrata su questioni di metodo, lasciando quindi la discussione su singoli
argomenti all’attività di numerosi gruppi di studio aventi questo scopo (4) ed
alla letteratura da loro pubblicata. Leggendo la letteratura sui fenomeni
paranormali, più o meno strettamente legata alla New Age, balza subito agli
occhi la frequente tendenza, tipica di questo movimento, a fondere in un
tutt’uno risultati delle scienze naturali, sperimentazioni di carattere
psicologico (tipicamente sugli stati alterati di coscienza), e visioni
metafisiche di derivazione orientale. Questo stile è sintomatico del metodo
seguito dai cultori delle discipline parascientifiche.
Ora, nel campo della scienza la valutazione di una
teoria non può essere separata dalle questioni relative al metodo che ha
condotto a formularla: da qui l’importanza che il dibattito sul concetto di
metodo ha rivestito sin dai tempi della Grecia antica (5). In parole semplici,
ogni progresso scientifico può essere visto come l’esito di un processo
cognitivo attraverso il quale una o più persone, partendo da una base iniziale
(la conoscenza scientifica preesistente, insieme con gli obiettivi ed i punti
di vista specifici della loro disciplina di appartenenza), applica un metodo e
perviene a dei risultati. I risultati scientifici, quindi, a meno di essere
totalmente arbitrari, saranno riconducibili alle persone che li hanno prodotti
(in particolare a fattori quali la loro competenza ed onestà), al contesto
culturale ed all’insieme di conoscenze precedenti nel quale esse si muovono
(l’osservazione di uno stesso fenomeno da parte di uno psicologo e di un
neurologo potrà facilmente portare a conclusioni diverse) ed al metodo da loro
utilizzato.
Nella filosofia della scienza è tuttora vivo il
dibattito sul metodo: il classico “metodo
sperimentale” comunemente insegnato
sui banchi di scuola, che consiste nella formulazione di ipotesi e nella loro
verifica tramite la conduzione di appositi esperimenti, è stato fortemente
criticato sin dall’inizio di questo secolo. Alcuni autori, Paul Feyerabend è il
più noto tra essi, contestano addirittura la possibilità e l’opportunità che sia
definito ed imposto un metodo scientifico, vedendo in questo un ostacolo
all’evoluzione della scienza stessa (Feyerabend, 1975). Anche questa posizione
estrema, che manifesta la convinzione che la scienza non debba essere irrigidita
in un unico metodo, non implica però che un qualsiasi sforzo o risultato possa
essere definito di carattere scientifico. Quello che per lo meno si può
richiedere è che i suoi proponenti esplicitino il metodo da loro seguito per
pervenire ad esso, così che il metodo, i risultati e gli altri fattori che,
come si è visto, li possono influenzare, possano essere discussi nell’ambito
della comunità scientifica. Questo per generare quel processo di verifica e
confutazione comunitaria che distingue la scienza dalla libera ed incontrollata
speculazione. In particolare, se un requisito minimo può essere richiesto al
metodo, oltre ovviamente al fatto che sia reso esplicito, è la sua oggettività
ed indipendenza dagli specifici risultati ottenuti, così da scongiurare il
pericolo di generare affermazioni fondate su argomenti circolari o tautologici
(questo ad esempio avverrebbe se, ipotizzando l’esistenza di una forza
universale tantrica che muove le foglie degli alberi, si considerasse quale
conferma di questa teoria il fatto di aver visto muoversi una foglia). Lo
stesso “estremista” Feyerabend, pur
sostenendo la massima libertà metodologica, non giunge però ad accantonare il
buon senso e la serietà nel valutare le teorie scientifiche (6).
Su queste basi, se si leggono i tanti e peraltro
abbastanza simili contributi presenti nella letteratura delle discipline New
Age, è difficile che non sorgano dei dubbi relativi al metodo seguito dagli
autori o, meglio ancora, alla quasi totale assenza di metodo. La stragrande
maggioranza degli articoli proposti, infatti, è costituita da una presentazione
in ordine sparso di concetti derivati da diversi campi della scienza e della
metafisica e dalla proposta di arditi collegamenti tra essi. Questi concetti
non sono quasi mai organizzati in un modo sistematico e, ancor peggio, sono
presentati al lettore astraendoli dal contesto scientifico nel quale essi sono
stati sviluppati. Ad esempio, un conto è introdurre i noti paradossi temporali
della teoria della relatività presentandoli quali fenomeni osservabili nella situazione-limite
del moto alla velocità della luce; ben altro coraggio ci vuole a concludere che
la condizione di atemporalità è un’esperienza facilmente sperimentabile
dall’uomo. I collegamenti proposti tra queste “briciole di sapere” sono per la maggior parte arbitrari. Nei casi
più clamorosi essi sono basati su una semplice assonanza verbale: ad esempio,
si parla di “luce” come fenomeno
fisico e la si associa, utilizzandone il significato di “illuminazione”, ad un’esperienza spirituale o, peggio ancora, ad
esperienze di carattere psichico quali quelle di pre-morte. Altre volte il
passaggio è totalmente infondato e basato sul gergo tipico della New Age: ad
esempio, la frequentissima, suggestiva, ma purtroppo inspiegata equivalenza tra
“energia” e “spirito”. Sono invece molto rare le volte nelle quali le affinità
tra concetti proposte dagli autori si basano su argomenti almeno parzialmente
convincenti. Infine, le teorie delle discipline parascientifiche sono
generalmente presentate in modo assai confuso e disorganizzato e, giocando
sull’ambiguità che deriva dal linguaggio metafisico, sono strutturate in modo
da non essere verificabili in modo sistematico (7).
I promotori di queste discipline sovente
dichiarano di non voler nemmeno affrontare l’argomento del metodo, utilizzando
comunemente una giustificazione che grossomodo afferma: “I risultati trascendono il metodo”. Come esempio, i cultori del
paranormale descrivono frequentemente esperimenti tesi a confermare l’esistenza
di fenomeni psichici, ma poi derivano le teorie che dovrebbero spiegarli da
assiomi di carattere metafisico, anziché dalla sperimentazione da essi stessi
compiuta. Questo ovviamente getta molte ombre sulla stessa validità di questi
esperimenti e sui protocolli seguiti nel gestirli; è peraltro ben noto che
équipe composte da scienziati ed illusionisti abbiano più volte dimostrato come
dietro ai principali esperimenti di parapsicologia si celi una notevole
approssimazione, se non una chiara malafede.
Proprio a causa dell’assenza di un metodo dichiarato,
si è ancora lontani dal poter riconoscere alla letteratura New Age un
sufficiente grado di rigore scientifico. Leggendo gli articoli in esame,
vengono in mente le poco serie relazioni che frequentemente sono presentate ai
congressi accademici estivi, il cui contenuto è un velleitario insieme di
vecchi risultati e di proposte per possibili future direzioni di ricerca, senza
che però si giunga mai ad alcun risultato utile e degno di nota (salvo quello
di far trascorrere al relatore una bella vacanza). Tra gli accademici, gli
spiriti benevoli tendono ad accettare questi lavori limitandosi a considerarli
quali “intuizioni preliminari”, ma a
patto che ad essi segua poi un serio lavoro di ricerca e verifica. Pertanto, è
forse possibile applicare lo stesso atteggiamento anche alla letteratura New
Age: un’accoglienza scettica e curiosa allo stesso tempo, nell’attesa che da
tutto questo polverone possa eventualmente scaturire un qualcosa di più
fondato.
3. “La Scienza ufficiale ci esclude”
Un’affermazione sovente fatta dai cultori delle
discipline parascientifiche è quella che da il titolo a questa sezione. Cosa
significhi “esclusione” in questo
contesto è assai chiaro: la cosiddetta “scienza
ufficiale”, forte e allo stesso tempo ingessata nella sua prassi,
nell’insieme delle sue certezze, delle sue rendite di posizione, dei suoi
interessi di potere accademici ed economici, non è in né grado, né disposta a
discutere con persone che le muovono concorrenza a partire da posizioni
diverse. Non è in grado, a causa dell’inerzia delle sue abitudini, e nemmeno è
disposta, in quanto timorosa di dover cedere qualcosa dell’immenso potere e
prestigio di cui gode. L’affermazione appare indubbiamente di una certa gravità
e merita, in effetti, che sia discussa a parte seriamente (8).
Innanzi tutto, è da chiarire se questa presunta
esclusione sia da considerarsi relativa a specifiche teorie e discipline oppure
in un senso più ampio, relativamente al metodo scientifico in generale (di
questo si discuterà più avanti). L’esclusione “specifica” può essere, ad esempio, quella sperimentata dal cultore
di medicine alternative le cui teorie sull’influenza delle fasi lunari sugli
infarti non sono accettate dalla comunità scientifica che si occupa di
cardiologia. Come si deve interpretare questa situazione? Il discorso sugli
interessi economici non regge se non in parte: la “scienza ufficiale”, è vero, consiglia ed influenza le
multinazionali della farmaceutica nella scelta dei prodotti da studiare e
commercializzare. Ma queste aziende, avendo lo scopo principale di ottenere dei
profitti, certo non esiterebbero a sposare gli approcci “alternativi” per sfruttarli commercialmente, se solo potessero
avere una minima prova della loro efficacia. Per il momento, invece lo sfruttamento
economico di questi approcci sta solo arricchendo i cultori della New Age, a
spese delle persone disposte a credere non solo ai loro ritrovati, ma anche
all’insieme di credenze spirituali che li accompagnano.
Più fondata, invece, potrebbe essere l’affermazione
che la scienza ufficiale non è disposta a mettere in discussione le proprie
convinzioni e le proprie teorie per altri motivi, che vanno dall’inerzia
all’orgoglio dei singoli individui. Se così fosse, non sarebbe certamente la
prima volta che, nella storia della scienza, un nuovo sistema teorico viene a
contrastare quello esistente, generando uno scontro aspro, di impossibile
mediazione a causa dell’ampiezza delle divergenze teoriche di fondo che
separano i due, e che sovente trascende su basi personali. Anzi, si sa che i
maggiori progressi della scienza sono avvenuti proprio in occasione di questo
tipo di scontri: l’astronomia copernicana che soppianta quella tolemaica, la
chimica che, con Lavoisier, arriva ad abbandonare il concetto di “flogisto”, la teoria della relatività
che supera la meccanica newtoniana.
Il filosofo e storico della scienza Thomas Kuhn ha
diffusamente studiato queste rivoluzioni scientifiche, nelle quali un paradigma
preesistente è costretto a cedere il passo al suo successore (9) (Kuhn 1962).
Vale dunque la pena provare ad analizzare, utilizzando i concetti proposti da
Kuhn, lo scontro in atto tra le discipline New Age e la scienza, per vedere se
in esso si scorgono dei sintomi che potrebbero far pensare, in effetti, ad uno scontro
tra paradigmi scientifici, o se non si tratta di qualcosa di diverso (10).
Kuhn osserva come la “scienza normale” sia sempre esercitata all’interno di quel sistema
condiviso di conoscenze, teorie e metodi da lui chiamato paradigma. Il
paradigma costituisce uno strumento importante per lo scienziato in quanto,
definendo la base di partenza e la direzione del suo operato, lo esenta dalla
necessità di doverle continuamente individuare e rimettere in discussione e gli
consente di concentrare l’attività di ricerca su una frontiera estremamente avanzata
e circoscritta. La scienza normale opera, nelle parole di Kuhn, per “risolvere gli enigmi” (puzzle-solving)
posti dalla natura, sfruttando le risorse teoriche, metodologiche e strumentali
messe a disposizione dal paradigma. In questo modo il paradigma è arricchito in
modo progressivo ed incrementale sia con nuovi elementi teorici, sia con i
risultati sperimentali che li confermano. Con il tempo, però, è inevitabile che
i paradigmi entrino in uno stato di crisi profonda a causa delle crescenti
discordanze tra le osservazioni sperimentali ed i fondamenti teorici dettati
dal paradigma. Tali crisi sono talmente profonde da non essere sanabili con
cambiamenti marginali a questi fondamenti teorici, ma richiedono una profonda
rivisitazione dell’intero paradigma. Questa rivisitazione non è però possibile
perché il paradigma, essendo incarnato da uomini che sulle sue basi hanno
costruito la loro intera vita professionale, è una struttura dotata di
un’inerzia eccessiva. Per questo motivo, la scienza può uscire dal punto morto
nella quale è finita solo attraverso l’emergere di un nuovo paradigma, che
dimostri migliori capacità di spiegare teoricamente l’evidenza sperimentale
discordante che ha dato vita alla crisi, e che sia allo stesso tempo capace di
spiegare i fenomeni che invece non davano problemi. La concorrenza tra
paradigmi si risolve quindi, secondo Kuhn, in base ad una specie di “selezione naturale” operata in base alla
capacità di meglio “risolvere gli enigmi”
posti dalla natura. Il paradigma soccombente muore perché progressivamente
abbandonato dalla comunità scientifica, che lo vede ormai come un relitto
inefficace, e cede il posto al vincitore; seguirà quindi un altro periodo di “scienza normale” basata sul secondo,
finché una nuova crisi condurrà a ripetere ancora il ciclo. La disputa tra
paradigmi concorrenti non è invece risolvibile attraverso il dibattito o il
confronto, in quanto essi muovono da basi teoriche incommensurabili.
Questo, in estrema sintesi, è lo schema proposto
da Kuhn. Per alcuni versi, un cultore della New Age potrebbe rincuorarsi nel
leggere le righe precedenti, sentendosi protagonista della storia che in esse è
raccontata. In realtà, però, i fatti appaiono essere notevolmente diversi, secondo
tre punti principali: l’assenza di crisi profonda nella scienza ufficiale, la
tendenza della New Age a prediligere la teorizzazione alla sperimentazione, e
la sua scarsa cura verso i fenomeni “ordinari”
della natura.
In primo luogo, è in effetti difficile scorgere
una crisi nella scienza ufficiale, ovvero una sua sostanziale e insanabile
incapacità di spiegare l’evidenza empirica e sperimentale che emerge dal lavoro
di ricerca. Kuhn, nel poscritto alla seconda edizione del libro citato in
precedenza, afferma che la crisi non è in realtà un prerequisito perché un
paradigma nasca, ma lo è certamente perché abbia senso e luogo un confronto tra
i paradigmi. Riferendosi al caso in esame, questo significa che se anche le
discipline della New Age fossero inquadrabili quali paradigmi scientifici, esse
potranno affermarsi come tali solo se dimostreranno la loro superiorità sui paradigmi
attuali soppiantandoli – si ricordi che Kuhn acutamente fa osservare come la
composizione tra paradigmi concorrenti non sia possibile a causa
dell’inconciliabilità delle rispettive posizioni di partenza – e questo potrà
avvenire solo quando i paradigmi attuali avranno iniziato ad attraversare un
momento di crisi sufficientemente forte. Per la maggior parte delle discipline
scientifiche, in questo momento non sta avvenendo nulla di tutto ciò, cosa che
impedisce di riconoscere validità ai “paradigmi”
della New Age e suggerisce piuttosto di rimanere attaccati al “paradigma dominante”. Se dunque i
cultori della New Age vogliono proseguire sulla loro strada, sono ovviamente
liberi di farlo, ma per avere il riconoscimento di scientificità al quale ambiscono
dovranno essere in grado di competere con successo con la scienza ufficiale in
una specie di lotta all’ultimo sangue, dimostrando di essere migliori di essa
nello spiegare i fenomeni della natura.
In secondo luogo, il fatto che il meccanismo
evoluzionistico che regola lo scontro tra paradigmi sia determinato dalla
capacità di spiegare i fenomeni naturali fa sì che l’amore e l’attenzione per
la sperimentazione e l’osservazione siano i cardini del progresso scientifico.
Compito della scienza è quello di sviluppare teorie la cui unica funzione è
quella di permettere la spiegazione dei fenomeni naturali. Nelle rivoluzioni
scientifiche, i fautori del paradigma tradizionale tenderanno però a smorzare
le discordanze sperimentali per poter meglio difendere, almeno nel loro
impianto di base, le loro teorie ormai inadeguate. Al contrario, i sostenitori
del nuovo paradigma tenderanno a dare grande rilievo all’evidenza sperimentale
per fondare su di essa le loro teorie innovative, per giustificare il notevole
sforzo da loro compiuto in tal senso e, infine, per smentire la validità della
teoria preesistente. Nello scontro tra scienza e New Age le parti sembrano però
essersi invertite: nella prima ci si muove continuamente con grande attenzione
alla realtà sperimentale ed empirica, mentre nella seconda il riscontro
sperimentale sembra passare in secondo piano davanti alla necessità di proporre
e mettere a punto le teorizzazioni elaborate e fantasiose di cui si è parlato
nella sezione precedente. A riprova di ciò, le affermazioni fatte negli
articoli provenienti dalla letteratura New Age sono in genere supportate da
evidenze di tipo aneddotico, nelle quali ci si limita a raccontare i fenomeni
osservati, quasi mai sorretti da una base statistica di minima solidità (11).
Infine, anche se il motivo che spinge degli
scienziati a dare vita ad un nuovo paradigma scientifico è quello di sanare le
divergenze con la realtà fisica che il paradigma precedente non riesce a
spiegare, è essenziale che essi siano comunque attenti a comprendere, nelle
loro teorie innovative, la spiegazione di tutte le osservazioni preesistenti,
comprese quelle più banali, che non stridevano con il paradigma precedente. Di
conseguenza, sarebbe per esempio bene che gli studiosi New Age, dopo aver
ipotizzato l’esistenza di “fluidi
energetici cosmici” per spiegare il fenomeno delle “mani calde” dei guaritori (ammesso che tali fenomeni siano genuinamente
riscontrabili), si preoccupassero anche delle conseguenze che l’esistenza di
questi fluidi così potenti e pervasivi dovrebbe portare nella fisica, nella
chimica e nella biologia. Essi dovrebbero quindi impegnarsi a spiegare
teoricamente e dimostrare sperimentalmente, alla luce delle loro teorie
energetiche, fenomeni “ordinari”
quali la caduta di un albero colpito dal fulmine o l’azione dell’aspirina sul
corpo umano. I cultori della New Age non si preoccupano dei fenomeni ordinari e
si limitano a sostenere come, grazie alle loro mirabolanti teorie, “le scienze dovranno un giorno essere
riscritte”. Pur ammettendo la bontà di queste loro teorie, non possono però
pretendere che sia qualcun altro a farlo, perché tale compito può spettare
soltanto a loro.
All’inizio di questa sezione, nell’inquadrare il
significato da dare alla presunta emarginazione accademica di cui sarebbero
vittime le discipline della New Age, si era accennato alla possibilità che
questa non fosse solo legata a specifiche discipline e teorie scientifiche, ma
che fosse un atteggiamento più ampio, con il quale la scienza nel suo complesso
rifiuta tutto ciò che non nasce da essa. Se questo è il livello dello scontro,
la New Age non sarebbe da considerarsi quale un contenitore di teorie e paradigmi
destinati a rivoluzionare le singole discipline scientifiche, ma
rappresenterebbe addirittura un modo nuovo di interpretare e condurre
l’attività scientifica (12).
Alcuni fautori della New Age, tra i quali
primeggia il fisico Fritjof Capra, hanno in effetti una posizione di questo
tipo, tesa a teorizzare la nascita di una “nuova
scienza”, nella quale dovrebbero convergere osservazioni sperimentali,
teorie metafisiche orientaleggianti e così via. Di questa impostazione si è già
parlato in modo critico nella precedente sezione, partendo dai minimi canoni
metodologici richiesti dalla scienza contemporanea (e anche dal semplice buon
senso). In ciò tale discussione potrebbe presentare un limite: se la New Age
fosse davvero la “scienza del futuro”,
destinata quindi a rivoluzionare non solo alcune singole discipline ma addirittura
il modo di “fare scienza” in
generale, è ovvio che anche i canoni metodologici dovrebbero cambiare. Seguendo
ancora Kuhn, si tratterebbe cioè di una rivoluzione paradigmatica non solo
relativa a singole discipline, ma allo stesso metodo scientifico. Simili
rivoluzioni sono indubbiamente molto più rare nella storia della scienza (come
esempio si può citare il quasi unico caso del metodo sperimentale, inizialmente
proposto da Galileo).
Ancora una volta, però, le rivoluzioni
metodologiche non avvengono a tavolino, come frutto di una teorizzazione fine a
se stessa: esse hanno luogo o perché un nuovo metodo è capace di meglio guidare
le singole discipline scientifiche nel loro unico scopo, che è quello di
spiegare i fenomeni naturali (si tratta quindi di un approccio prescrittivo), o
perché è invece capace di meglio spiegare gli avvenimenti passati della storia
della scienza (si tratta in questo caso di un approccio di tipo interpretativo).
Comunque sia, il fantasioso “metodo” proposto dalla New Age non si è per ora dimostrato in grado
di condurre nessuna delle relative discipline alla vittoria sul paradigma
dominante nella scienza ufficiale. Inoltre, esso si trova decisamente agli
antipodi rispetto alla storia sin qui vissuta dalla scienza.
Nella totale libertà di proseguire in questa
impresa, non si può che invitare i cultori della New Age a continuare la loro
sfida, nella consapevolezza che, se il loro metodo è realmente migliore, un giorno
sarà destinato a trionfare. Sino ad allora, però, essi non possono lamentarsi
dello scetticismo nutrito nei loro confronti
Come ulteriore difesa, nell’ambito della New Age
si afferma talvolta che la propria concezione di scienza sarebbe da considerarsi
migliore di quella tradizionale non tanto sul piano dello spiegazione dei
fenomeni naturali, quanto sul piano del maggiore benessere che essa potrebbe
donare all’umanità. In particolare, il concetto di “olismo” che anima la New
Age, rinnegando l’estrema specializzazione della scienza moderna e la sua
separazione dalla metafisica, punta esplicitamente a far ritrovare l’unità
della natura ed in particolare dell’uomo (13).
Si tratta di un concetto di indubbia suggestione e
sinceramente condivisibile, se si tratta di riportare l’attenzione dello
studioso all’“uomo integrale”,
facendo sì ad esempio che l’endocrinologo veda i suoi pazienti come persone
umane, in tutta la loro complessità ed individualità, e non solo come delle
sofisticate “macchine ormonali” da
tarare. Il discorso sulla specializzazione non può però essere liquidato solo
guardando ne i difetti: la
specializzazione è infatti uno dei più importanti fattori che hanno consentito
alla scienza occidentale di crescere con la vertiginosa velocità che tutti
conoscono, e di superare ampiamente tutte le culture scientifiche nate in altre
parti del pianeta, che pure avevano raggiunto anche in tempi antichi risultati
notevolissimi. I guasti provocati dalla eccessiva specializzazione devono
essere riconosciuti e risolti, ma fa sorridere l’idea che questo possa essere
fatto rinnegando in blocco il concetto stesso di specializzazione. Semmai, sarà
bene aiutare ad avere uno sguardo attento al lavoro svolto nelle discipline
contigue alla propria non solo gli scienziati, ma soprattutto i professionisti
che operano su risultati scientifici (come ad esempio, medici, chimici, e così
via).
4. Pur ammettendo delle basi
scientifiche, quale l’atteggiamento del credente?
La discussione precedente ha avuto l’obiettivo di
mettere in luce numerose contraddizioni che minano la credibilità scientifica
delle discipline New Age. Ora, si supponga per un istante che le argomentazioni
precedenti fossero così poco indovinate che, in un futuro prossimo, le
discipline New Age riescano a diventare pienamente parte della scienza
ufficiale: si supponga cioè che nelle università siano istituite cattedre di “fondamenti di energia cosmica”, corsi di
specializzazione in iridologia, esami di Stato per l’abilitazione alla
professione di pranoterapeuta, e che parte del percorso formativo obbligatorio
dei giovani medici sia costituito dal raggiungimento del livello di Master di
Reiki. Quale dovrebbe essere l’atteggiamento del credente in questo caso?
Mantenere ferme le proprie posizioni, continuando a denunciare
l’incompatibilità tra la dottrina New Age ed il deposito della fede? Oppure
capitolare, accettando il verdetto proveniente dal mondo accademico e
considerando tutto sommato accettabili le dottrine New Age, in quanto “scientificamente dimostrate”?
Se si accetta il modello introdotto in precedenza,
che considera Scienza e Fede come le due entità complementari che camminano
insieme per condurre l’umanità verso l’unica Verità, l’unico atteggiamento
possibile è il secondo. D’altra parte, chi vorrebbe assumersi la responsabilità
di scatenare un nuovo “caso Galileo”?
Quale prelato vorrebbe rischiare di replicare la parte del cardinale Bellarmino
nei confronti del grande scienziato pisano? Non per niente, nel mondo cattolico
le maggiori critiche alle discipline parascientifiche giungono dai laici,
sovente sulla base del semplice buon senso, mentre gli ecclesiastici
preferiscono mantenere posizioni più ambigue, che sono facilmente
interpretabili come favorevoli. Il “modello”
di cui si è parlato pecca però di un difetto fondamentale: esso nasce dalla
concezione positivista che assume che la verità fisica sia una, e che la
scienza in grado, in modo progressivo ed incrementale, di avvicinarsi ad essa.
Questa concezione è però ormai superata dalla filosofia della scienza contemporanea,
anche se rimane viva nell’immaginario comune (14).
In particolare, l’analisi svolta dai filosofi e
dagli storici della scienza in questo secolo parte proprio dal riconoscimento
che la scienza non può essere in grado di fornire, e non ha mai fornito, delle
affermazioni che siano assolutamente vere (15). L’approccio Kuhniano discusso
in precedenza evidenzia come le teorie scientifiche vengano soppiantate da
altre teorie, e che quindi nessuna di esse possa essere dichiarata vera. Il
progresso scientifico consiste nel fatto che le teorie diventino via via più
efficaci nel loro compito di spiegare gli enigmi presentati dalla natura, ma
questo non ha nulla a che vedere con il grado di verità in loro contenuto.
Prima dell’analisi storica svolta da Kuhn, il noto filosofo Karl Popper ha
evidenziato come, nella scienza, l’unica certezza possa risiedere nella
confutazione di una teoria, ma mai nella sua conferma. All’approccio Popperiano
sono state riconosciute delle limitazioni soprattutto in merito alla sua
rozzezza nello spiegare le dinamiche evolutive della scienza (Lakatos, 1974),
ma la sua impostazione logica rimane comunque importante e condivisibile (16).
Il già citato Feyerabend, nell’invocare una più elastica demarcazione tra scienza
e non-scienza, non lo fa però in modo da far assumere un canone di assolutezza
alla seconda, ma semmai in modo da abbattere quello di cui la prima ha goduto
per lungo tempo.
La teoria scientifica perde quindi, nella
concezione contemporanea, quell’aura di oggettività ed assolutezza che le viene
attribuita dal sentire comune. Questo fatto aiuta a ridimensionare notevolmente
la portata del conflitto tra scienza e fede, sia in merito agli avvenimenti
passati, sia a quelli che eventualmente potranno emergere nel futuro. Scienza e
fede infatti non solo operano su due ambiti diversi, ma possono agire su
livelli diversi di categoricità: mentre la prima è intrinsecamente fallibile,
per il credente la seconda è invece perfettamente e pienamente rivelata per
l’azione divina. Per questo motivo lo stringere dei legami tra scienza e
metafisica, così come proposto nella New Age, è fuori luogo a causa
dell’intrinseca diversità tra le due attività (la stessa esperienza patita da
Galileo insegna quali conseguenze abbia una tale proposta). Stringere tali
legami significa muoversi su un terreno minato per ambedue le discipline,
conducendole facilmente ad un abbraccio mortale nel quale l’una soffoca il
progresso dell’altra. Anche se innalzare l’analisi scientifica verso realtà più
elevate sembra essere un obiettivo nobile, la scienza non riuscirà mai a
studiare l’Insondabile per definizione (anche se i signori della New Age ogni
tanto parlano di realtà fisiche non osservabili!). Piuttosto, l’effetto di
questa operazione (inconsapevole o voluto?) è quello di negare l’esistenza del
trascendente, postulando la sua totale naturalità, e giungendo alla conclusione
che la via alla Rivelazione passa attraverso una “nuova scienza”, costituita da una strana mistura di razionalità ed
esperienze medianiche degna degli antichi alchimisti.
Tornando all’ipotesi fatta in partenza, di una
vasta accettazione delle discipline New Age, la fallibilità della scienza fa sì
che, per il credente, la verità accettata nella comunità scientifica non sia da
vedersi come un qualcosa di positivamente vincolante ma, semmai, come una spiegazione
efficace dei fenomeni naturali, migliore di quelle passate ma peggiore di
quelle future. Senza giungere, come fanno i fondamentalisti, a demonizzare le
teorie scientifiche che contrastano con la fede (come ad esempio la casualità
come motore dell’evoluzione biologica), si ha comunque il completo diritto di
mantenersi scettici anche nei confronti di ciò che pare essere “scientificamente provato”, se ciò può
contrastare con la fede. Questo scetticismo non deve provocare atteggiamenti
passivi e di ritiro dal dibattito scientifico; semmai, in ordine alla missione
che l’attività scientifica ha nella società umana, deve stimolare i credenti a
sviluppare teorie e paradigmi che, oltre a meglio conciliarsi con le verità
trascendenti professate, sappiano soprattutto vincere la sfida con quelle
contrastanti sul piano dell’efficacia nell’interpretazione dei fenomeni
naturali.
In conclusione, al cristiano che si pone davanti
alla letteratura parascientifica della New Age, è possibile proporre due
riflessioni. In primo luogo, non si abbia il timore che rigettando con
decisione le tesi della New Age si possa ripetere un novello caso Galileo:
l’importanza di questo grande e la forza dei suoi argomenti risiedevano proprio
nella sua affermazione del metodo scientifico. La New Age, invece, riesce a
giustificare la propria esistenza solo trincerandosi dietro all’assenza di
metodo e dietro alla accuse di emarginazione lanciate al mondo accademico,
accuse la cui pretestuosità è stata discussa. In secondo luogo, la concezione
della verità scientifica elaborata dal pensiero moderno ridimensiona nettamente
il grado di assolutezza attribuibile alle verità scientifiche; per questa
ragione, anche se le discipline New Age dovessero guadagnare accettazione sul
piano scientifico, l’opposizione che ad esse la Chiesa deve muovere a causa
delle discordanze sul piano metafisico sarebbe giustificata, se condotta in
modo costruttivo. Questo senza timore di apparire, accusa questa più volte
ricevuta nel passato, “oscurantista”
e retrograda.
Uno scarso rigore metodologico, unito agli spettri di antiche eresie, caratterizza dunque in modo assai marcato il modo con il quale gli ambienti New Age affrontano il problema della scienza; al di là dei concetti introdotti in questo articolo, un po’ di sano scetticismo e di buon senso sono sicuramente i primi antidoti da consigliare per evitare di rimanerne affascinati in modo acritico.
* "Una voce grida…!" n. 5.
NOTE
4. Ad esempio, il CICAP, Centro Internazionale di Controllo Affermazioni sul Paranormale, la cui attività è ampiamente divulgata anche sui mezzi di comunicazione di massa (Angela, 1978).
7. Sul legame tra l’ambiguità di una teoria e la sua accettabilità come affermazione scientifica si veda anche la nota n.16 più avanti.
10. Non si vuole qui sfruttare la teoria di Kuhn per anticipare l’esito di questo scontro e dichiarare anzitempo vincente uno dei contendenti: lo stesso Kuhn, infatti, afferma che le rivoluzioni scientifiche possono essere comprese solamente a posteriori, dopo la loro conclusione. Quello che invece si vuole fare, è vedere se quello schema che si è ripetuto con una forte regolarità nel passato in occasione degli scontri tra paradigmi scientifici concorrenti sia riscontrabile almeno in parte nel confronto tra scienza e New Age.
-
Aldunate C., Il cristiano di
fronte al paranormale, Ed. Ancora Milano.
-
Angela P., 1978, Viaggio nel
mondo del paranormale, Garzanti, Milano.
-
Blondet M., Gli Adelphi della
dissoluzione, Ares, Milano.
- Chalmers A.F., 1982, What is this thing called science?,
Open University Press, Milton Keynes.
-
Federspil G., Scandellari C.,
1993, “Le medicine alternative”, “Le Scienze” n. 299, pp.32-41.
-
Feyerabend P., 1964, “Realism and
Instrumentalism: comments on the logic of factual support”, in “The Critical
Approach to Science and Philosophy”, Bunge M. (a cura di), Free Press, New
York
- Feyerabend P.,
1975, Against method: outline of an anarchistic theory of knowledge, New
Left Books, Londra.
- Kuhn, T.S.,
1962, The structure of scientific revolutions, The University of Chicago
Press, Chicago.
- Lakatos I.,
1974, “Falsification and the methodology of scientific research programmes”, in
“Criticism and the growth of knowledge”, Lakatos I. e Musgrave A (a cura
di), Cambridge University Press, Cambridge.
-
Introvigne M., 1994, Storia del
New Age 1962-1992, Cristianità, Piacenza.
-
Introvigne M, 1995, La sfida
magica, Ed. Ancora, Milano.
- Popper K.R., 1968, The logic of scientific discovery,
Hutchinson, Londra.
- Popper K.R.,
1969, Conjectures and Refutations, Routledge and Kegan Paul,
Londra.
- “Una voce grida...!”,
1995-99.
- Ziman J.,
1984, An introduction to science
studies, Cambridge University Press, Cambridge.
Torna all'indice della raccolta "Nuova religiosità: sfida alla Nuova Evangelizzazione"